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 2017  luglio 23 Domenica calendario

Tomasi di Lampedusa: il principe delle lettere che svelò l’animo italico

Se, facciamo per ipotesi, un extraterrestre venisse sulla Terra, curioso di sapere quali sono le passioni che animano gli esseri umani, basterebbe leggesse beninteso dopo avere imparato a farlo quanto scritto da Shakespeare. C’è tutto nei suoi drammi: il sentimento amoroso, la gelosia, l’odio, l’invidia, il bisogno di vendetta, l’avidità, la sete di potere, la negazione di esso, il rimorso, l’impenitenza: negli scritti del bardo inglese c’è tutto quanto tiene in piedi l’umanità e di continuo l’annienta.
Se il nostro ipotetico extraterrestre volesse poi sapere cos’è l’Italia, cosa sono gli italiani, gli basterebbe la lettura di un libro generalmente maltrattato negli anni di scuola e che, nella sua verità assoluta, mostra l’Italia del XVII secolo, quello in cui si svolge la storia narrata; l’Italia dell’Ottocento, secolo in cui l’autore la scrisse, il tempo nostro e c’è da esserne certi anche quello futuro. I promessi sposi, inutile persino ricordarne il titolo.
Se poi, sempre per assurdo, questo stesso extraterrestre si ostinasse a voler sapere della Sicilia, della rilevante quanto famigerata sua storia, basterebbe desse un’occhiata a Il gattopardo, romanzo che della Sicilia mostra il ritratto più emblematico, quello in cui i siciliani ritrovano la loro immagine e il loro destino; con dolore, certo, ma anche con profitto, se non ottenebrati da sciovinistiche pretese.
LETTERATURA
Questo preambolo vuol rendere omaggio all’autore del Gattopardo nel sessantesimo anniversario della morte, avvenuta a Roma il 26 luglio 1957. Prodigioso scrittore, il principe Tomasi di Lampedusa, anche se autore di un solo romanzo e di pochi altri racconti. A parte, i saggi dedicati alla letteratura inglese e francese, concepiti come lezioni da tenere a un paio di suoi giovani amici.
Il gattopardo è romanzo celebre nel mondo, grazie anche al film che nel 1963 ne trasse Luchino Visconti, i volti quelli di Claudia Cardinale, Burt Lancaster, Alain Delon. Una fama enorme, di cui il principe non ha potuto minimamente godere.
Questa è una delle tante ingiustizie di cui è disseminata la storia delle arti. Pittori come Van Gogh, le cui opere oggi valgono immense fortune, sono morti disperati, nell’incomprensione e nella miseria; scrittori come Tomasi di Lampedusa hanno chiuso per sempre gli occhi convinti di avere scritto un capolavoro destinato a rimanere inedito.
Pensate alla delusione del principe nel leggere, poco prima di morire, la lettera in cui Vittorini gli negava la pubblicazione del romanzo nella collana einaudiana dei Gettoni; innovativa collana, quella diretta dal fondatore del Politecnico, e per questo ritenuta non adatta ad accogliere un romanzo d’impianto classico come Il gattopardo. Memorabile il commento di Giuseppe Tomasi dopo aver letto la lettera: «Come recensione non c’è male, ma pubblicazione niente».
Che bocciatura fu quella. Il gattopardo, il romanzo italiano forse più importante dopo I promessi sposi, fu visto allora come un vecchio arnese letterario ottocentesco piombato in pieno Novecento. Ma tutto questo è comprensibile, anche se materia di un’ingiustizia eclatante. Al suo apparire pubblicato postumo da Feltrinelli su suggerimento di Giorgio Bassani, che ne firmò la prefazione il romanzo creò sconcerto, perché l’autore sembrava non essersi accorto di Conversazione in Sicilia dello stesso Elio Vittorini (1941), del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (1945), delle Parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia (1956) e addirittura dei Viceré di Federico De Roberto (1894). Nel suo aristocratico isolamento, Tomasi di Lampedusa aveva scansato tutto quel bendidio, dando sfogo a una libertà interiore da vero signore delle lettere.
L’ERRORE
Quando, nel 1958, Il gattopardo giunse nelle librerie, sembrò che in esso non vi fosse traccia della realtà europea che nello sconquasso della seconda guerra mondiale, riguardava anche la Sicilia. Si fece questo errore perché il romanzo sembrava semplicemente raccontare una vicenda familiare legata all’epopea risorgimentale, in un angolo d’Italia marginale e irrimediabilmente arretrato. Ma di un errore si trattò. Nella sua prorompente quanto pittoresca metafora politico-sociale, il romanzo di Lampedusa intendeva fare i conti anche con le promesse rivoluzionarie (quelle nate dalla Resistenza comprese) che già mostravano la loro inapplicabilità.
Non era cieco né sordo né del tutto tenuto al riparo dalla realtà, l’aristocratico scrittore, e le due guerre che aveva vissuto, la prima come prigioniero degli austriaci, la seconda, anche se in maniera meno impegnativa dal punto di vista della partecipazione attiva, lo dimostravano. Nel romanzo il principe di Salina dice al piemontese Chevalley di Monterzuolo (ed è come se l’autore parlasse di sé): «Appartengo a una generazione disgraziata, a cavallo tra i vecchi tempi e i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due».
Non avrebbe mai immaginato, Tomasi di Lampedusa, che il suo romanzo avrebbe arricchito il vocabolario italiano di sostantivi e aggettivi dall’efficacissima resa espressiva, ricchi di sfumature capaci di definire come meglio non si potrebbe stati d’animo e situazioni storico-ambientali: gattopardismo, gattopardesco, gattoparderia. Il gattopardo è la Sicilia, la sua anima, il suo destino, il suo volto, e nello stesso tempo è affascinante metafora dell’esistenza umana, delle sue diverse stagioni, al di là dei limiti geografici e politici.