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 2017  luglio 17 Lunedì calendario

Vasari: al via l’esproprio dell’archivio a lungo nascosto

In centinaia di documenti letti, e in migliaia di documenti non letti, sopravvivono ancora in archivio le voci dei defunti, e la pietà dello storico ha il potere di riconferire timbro alle voci inudibili, se non sdegna la fatica di ricostruire la naturale unità fra parola e immagine»: quasi 500 anni prima che Aby Warburg scrivesse questo viatico per il lavoro dello storico dell’arte, Giorgio Vasari lo praticava già.
Nel proemio delle sue Vite (che, uscite nel 1550, sono la prima vera storia dell’arte italiana), Vasari spiega che era stato spinto a quella gigantesca impresa dal desiderio di sottrarre a una morte eterna «i nomi di moltissimi vecchi e moderni architetti, scultori e pittori, insieme con infinite bellissime opere loro in diverse parti d’Italia si vanno dimenticando e consumando a poco a poco». Vasari riuscì a vincere la sua battaglia contro il tempo anche grazie agli archivi: spendendo, cioè, moltissimo tempo nel rintracciare la patria, le origini e le vicende biografiche degli artisti attraverso la lettura delle «relazioni d’uomini molto vecchi, e ricordi e scritti lasciati dagli eredi di quelli in preda alla polvere, e cibo de’ tarli».
Ebbene, oggi sono proprio le carte di Giorgio a dover essere salvate: non dalla polvere e dai tarli, ma da una situazione proprietaria che ne rende assurdamente difficili lo studio e la conoscenza. Basti dire che la Soprintendenza archivistica della Toscana – che lotta eroicamente da anni per la tutela e la valorizzazione dell’archivio di Vasari – non può mettere online, e dunque a disposizione di tutti, la digitalizzazione completa delle carte a causa dell’opposizione dei proprietari, intenzionati a mantenerle poco note e dunque più redditizie.
Oggi lo Stato ha deciso di dire basta. È di queste ore la notizia che il direttore generale degli Archivi del Ministero per i Beni culturali, Gino Famiglietti, ha avviato la procedura per espropriare e rendere dunque pubblico l’Archivio Vasari. Una decisione che si giustifica proprio con «le difficoltà frapposte dalla parte proprietaria che, di fatto, non ha mai accettato che lo Stato esercitasse le funzioni e disciplinasse le attività volte a garantire la protezione, la conservazione e la valorizzazione di quel patrimonio documentario, al fine di assicurarne la pubblica fruizione» (così l’atto ministeriale).
La storia delle carte Vasari è decisamente rocambolesca. Dopo una lunga eclissi, l’eredità archivistica del padre della storia dell’arte italiana fu riscoperta nel 1908 dal direttore del Museo del Bargello Giovanni Poggi all’interno dell’archivio della famiglia Spinelli, un cui membro era stato l’esecutore testamentario dell’ultimo Vasari. Nel 1917 lo stesso Poggi fece notificare l’archivio, che dal 1921 venne depositato presso la Casa di Vasari ad Arezzo, divenuta nel frattempo museo pubblico.
Sfuggirono, però, tre preziose filze che condivisero la sorte delle carte Spinelli: con esse furono murate in una villa della campagna toscana, per poi sparire dai radar, all’inizio degli anni Ottanta. Mentre la Soprintendenza archivistica fiorentina ne rinveniva frammenti sui banchi delle librerie antiquarie fiorentine, nel 1988 il grosso dell’archivio veniva (illegalmente) acquistato dall’università di Yale, finendo così negli Stati Uniti. I proprietari, dal canto loro, si giustificarono affermando di aver subito un furto nel maggio 1981: furto, però, da loro curiosamente denunciato solo nell’aprile del 1994.
Le traversie legali non hanno smesso di riguardare anche l’archivio Vasari, pur materialmente al sicuro ad Arezzo: a causa dei debiti dei proprietari, esso è stato sottoposto a pignoramento per ben tre volte (2004, 2010, 2014), ed è finito al centro di una sorta di giallo internazionale nel 2009, quando ci fu un misterioso tentativo di acquisto da parte di una società russa, per la cifra astronomica di 150 milioni di euro.
Da allora i rapporti con la proprietà sono stati a dir poco tempestosi: basti ricordare un episodio dell’ottobre 2010, quando una visita guidata all’archivio fu interrotta dai carabinieri a causa di un (infondato) esposto-denuncia presentato dai proprietari, per nulla disposti a rassegnarsi ai vincoli imposti dallo Stato.
Oggi è proprio lo Stato a fare un passo decisivo, con l’esproprio dell’archivio e la richiesta alla Procura di Roma di avviare una rogatoria per il recupero delle tre filze che si trovano nella biblioteca di Yale.
La posta in gioco è straordinariamente alta. Quando, nel 1908, si diffuse la notizia della scoperta del Poggi, Ugo Ojetti scrisse sul Corriere della sera che «era un lembo del secolo d’oro ciò che appariva allo studioso, attonito e commosso, nella penombra di quella stanzetta». A riemergere erano centinaia di carte preziosissime, tra le quali diciassette lettere autografe di Michelangelo, in qualche caso corredate da disegni autografi. Una di esse si apre così: «Messer Giorgio amico caro, voi direte ben che io sie vecchio e pazzo, a vole’ far sonecti; ma perché molti dicono ch’i’ son rinmbabito, ò a far l’uficio mio…». Era il 19 settembre del 1554 e un Michelangelo quasi ottantenne, e atrocemente autoironico, scriveva a Vasari mandandogli in dono una delle sue poesie più belle e struggenti, il sonetto di congedo dal mondo Giunto è già il corso della vita mia.
E poi le lettere dei granduchi Cosimo e Francesco de’ Medici (sulle quali si può seguire la costruzione degli Uffizi, la decorazione di Palazzo Vecchio e la realizzazione degli affreschi della Cupola del Duomo di Firenze); quelle dei papi Giulio III, Paolo IV, Pio IV e Pio V; di cardinali, come Alessandro Farnese, che parlano di quadri, edifici o ritrovamenti antiquari; di letterati come Annibal Caro, Paolo Giovio, Cosimo Bartoli o Vincenzio Borghini, che permettono di studiare la genesi e il contesto delle Vite, il più importante monumento eretto da Vasari.
In quell’archivio è racchiuso un segreto: quello della nostra capacità di tradurre l’arte figurativa in parole, e di farlo costruendone una storia. È questo il segreto che vogliamo continuare a studiare.