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 2017  luglio 17 Lunedì calendario

Julianne Moore: «Volevo essere come Meryl Streep e le mie lentiggini non mi piacciono»

GIFFONI «Quando ero piccola mi chiamavano Freckleface Strawberry, fragola lentigginosa. Non mi piacevo. A dire la verità, le lentiggini non mi piacciono neanche oggi ma la vita ti insegna a cambiare prospettiva. Vivo una vita bellissima e ho un lavoro che adoro». Julianne Moore è arrivata a Giffoni per ricevere il premio Truffaut e prende molto sul serio l’occasione di parlare con i giovanissimi giurati del festival. Anche loro non scherzano: nessuna domanda sulla sua presidente Alma Colin della saga Hunger Games.
Al contrario, vogliono sapere tutto di film tostissimi, come Still Alice, per cui ha vinto l’Oscar, dei registi con cui ha lavorato, il maestro Robert Altman («Un grande osservatore della natura umana»), Paul Thomas Anderson («Un visionario»), Todd Haynes («Una voce originale, un’anima profonda, un vero autore»). Incontri fortunati, su cui ha costruito una carriera eccentrica e fortunata che non accenna a rallentare. È una delle protagoniste di uno dei film più attesi del momento, Suburbicon di George Clooney, per l’amico Todd Haynes si è invecchiata in Wonderstruck – La stanza delle meraviglie (uscirà in Italia entro fine anno). La vedremo in versione cattivissima in Kingsman 2. The golden circle di Matthew Vaughan. Sta per girare una serie tv con la regia di David O. Russell al fianco di Robert De Niro.
A 56 anni, come l’amata Meryl Streep («Da ragazza non sapevo cosa avrei fatto da grande. È stata una professoressa a spingermi verso la recitazione. L’attrice emergente era Meryl e ho capito che io volevo essere come lei»), ha smentito alla grande uno dei teoremi di Hollywood: niente ruoli per le attrici dopo i 40 anni. «Ho sempre scelto ciò che volevo fare, senza badare se fossero o meno ruoli da protagonista. La cosa che amo di più in assoluto è leggere, mi piaceva l’idea di entrare dentro i libri. Come attrice lo faccio di continuo».
Li ha anche scritti i libri. Ha cominciato quando il primo figlio, oggi diciannovenne, aveva sette anni e, come capita a tutti, si sentiva diverso dagli altri. «L’ho intitolato proprio Freckleface Strawberry, sono diventati una piccola saga di otto libri. Ne ho scritto un altro, My Mom Is a Foreigner, But Not to Me, per raccontare di mia madre, scozzese e di me, americana di prima generazione». Nessuna sorpresa su cosa pensi delle politiche di Trump in tema di immigrazione: «Negli Usa, a parte gli indiani nativi, siamo tutti immigrati. La nostra identità è frutto di quella mescolanza, è questo che ci ha reso grandi». L’attrice è in prima fila anche su un altro tema caldo, il controllo delle armi. «Usare la parola controllo in un Paese come gli Usa, dove il secondo emendamento garantisce il diritto di portare armi, può sembrare una limitazione. Meglio, credo, parlare di sicurezza, convincere le persone che come sono servite regole per evitare che le auto fossero strumenti mortali, così bisogna fare per le armi». In quanto a Trump, la democratica Moore spiega: «Da cittadina rivendico il diritto di far sentire la mia voce indipendentemente da chi siede alla Casa Bianca».
L’abbraccio dei ragazzi la commuove. Si concede anche toni materni. «Cercate di fare quello che vi piace, anche se altri vi diranno che è stupido. Siete voi che fate accadere le cose, credendoci». Essere madre, dice, le ha dato forza. «L’ho cercata. È un grande dono. Ogni cosa che insegni ai tuoi figli è un passo verso l’indipendenza e l’autonomia, devi insegnare loro di andar via, anche se ti spezza il cuore». Ha un consiglio anche per il neopadre Clooney. «È bene che sia pronto a giocare molto. E per molti anni...».
In quanto a lei, non le dispiacerebbe un film in Italia. «Magari!». E cita Tilda Swinton. «L’ho vista in Io sono l’amore, recitava in italiano addirittura con l’accento russo. Ecco, Luca Guadagnino è un grande regista, sarei felice se mi chiamasse. Lo trovo fenomenale».