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 2017  luglio 17 Lunedì calendario

Barboncini o erbivori: gli ex maschi alfa

I maschi arrancano. Lo dice uno psicologo di fama internazionale, identificato come «la voce e il volto della psicologia americana contemporanea» grazie alla capacità divulgativa mostrata nella serie tv «Discovering Psychology». Philip Zimbardo, con quel cognome italiano, è professore emerito della Stanford University ed è autore di numerosi studi il più celebre dei quali è Effetto Lucifero, resoconto di un esperimento carcerario degli anni 70. Insomma, se lo dice lui c’è da credergli: i maschi arrancano. Leggendo il ponderoso libro che ha scritto con Nikita D. Coulombe, fondatrice di un blog sull’educazione sessuale, BetterSexEd.org, non solo gli si può credere sulla fiducia ma gli si deve credere sulla dimostrazione, tanto il volume Maschi in difficoltà (pubblicato da Franco Angeli) è pieno di argomentazioni, approfondimenti, numeri e tabelle. La tesi è che tutto nella contemporaneità, specie quella digitale, congiura a creare problemi ai giovani adolescenti più che alle ragazze.
Se è vero che lo sguardo di Zimbardo è puntato soprattutto sugli Stati Uniti, tanti fenomeni che descrive anche noi li sperimentiamo quotidianamente. Scrive Salvatore Cianciabella che ha curato il libro: «Mentre i ragazzi crescono più deboli, strutturano un Sé più fragile, diventano sempre più poodle (uomini barboncino), ritirandosi nel cyberspazio, tra videogame e siti porno, o si imbottiscono di farmaci, non si può dire lo stesso per le ragazze che in questo complesso sistema “ginocentrico” sembrano sempre più forti». I sintomi dello squilibrio sono diversi, e Zimbardo lancia l’allarme mettendo in gioco tantissimi materiali su cui riflettere. Per esempio: «Negli Stati Uniti nemmeno un quarto dei ragazzi, a 13-14 anni, legge e scrive correttamente, contro il 41% delle ragazze particolarmente brave a scrivere e il 34% a leggere». E in Europa? Secondo la valutazione Pisa, nei Paesi Ocse, Italia compresa, le ragazze sono avanti di un anno, un anno e mezzo rispetto ai maschi quanto a competenza nella lettura. Non per nulla, l’abbandono scolastico è molto superiore presso i ragazzi. Le giovani intervistate da Zimbardo hanno manifestato la difficoltà diffusa di trovare un partner coetaneo che abbia un background culturale simile al loro. A ciò si aggiunga che secondo l’ Institute for the Future di Palo Alto un ventunenne ha trascorso in media diecimila ore della sua vita davanti a un videogame: ma i ragazzi (15 mila ore) quasi il triplo delle ragazze (5000). Nei maschi l’interesse per il gioco cresce, mentre per le ragazze diminuisce con l’età.
Altro capitolo gigantesco è quello della video pornografia, che riguarda ancora una volta in maggioranza i giovani maschi (e non solo giovani). Come ci si avvia al tema della sessualità? È qui il punto. Il facile accesso a siti di contenuto pornografico finisce per ridimensionare l’affettività dell’incontro erotico: per i «nativi digitali», video-sessualmente precocissimi, quel che offre lo schermo con la sua estetica, i suoi tempi, le sue dinamiche diventa la normalità: «Se il ragazzo medio vede due ore di porno ogni settimana da quando aveva 15 anni, ha già assistito a quasi 1.400 sessioni di porno prima di fare sesso nella vita reale. Cosa sarà per lui normale?».
L’immersione prolungata (e precoce e compulsiva) nel sesso digitale, dove non esiste il rifiuto, alla lunga scoraggia dall’affrontare i rischi dell’esperienza, le incertezze dell’approccio reale, gli inciampi del corteggiamento, accrescendo la sfera dei «timidi sociali». I quali soltanto nel virtuale deprivato di carnalità, sempre più tridimensionale e coinvolgente, trovano le loro sicurezze: gli «uomini erbivori» ( copyright giapponese) invadono il mondo. Un recente sondaggio in Giappone rivela che i giovani tra i 16 e i 19 anni che non hanno alcun interesse per il sesso sono attualmente più di uno su tre, ovvero il doppio della stima effettuata dieci anni fa. È la «strategia del ritiro», un rimedio alla timidezza maschile, che da problema personale è diventata una sorta di epidemia sociale. Le attese eccessive, nei confronti del maschio (lavoro, sesso, responsabilità familiari) da parte di un mondo in via di femminilizzazione, l’hanno gettato prima nell’ombra, nell’apatia e poi nella frustrazione. L’ansia di mostrarsi maschio alfa, che Zimbardo definisce sindrome da Intensità sociale o mascolinità eccessiva, dà risultati che vanno dal bullismo all’autoisolamento.
Svoltando dai sintomi alle cause (e dunque anche alle soluzioni), si finisce per entrare in famiglia, ovvio. Dove si rimane a bocca aperta di fronte ad alcune evidenze. Che dire del fatto che in media i padri trascorrono con i figli, faccia a faccia, appena mezz’ora ogni 44 ore passate dai giovani davanti a uno schermo. C’è da spiegare perché la fragilità dei maschi adolescenti è anche il risultato di un mancato confronto con la figura paterna? Alla sfiducia in se stessi e negli altri contribuiscono certo fattori sociali e politici, ma anche la dissoluzione della famiglia tradizionale con conseguenze disastrose soprattutto per il prestigio della figura paterna, mentre le madri viceversa sono sovraccariche di responsabilità. Come si sa, si tratta di tendenze globali, cui non si sottrae l’Italia. E se da una parte spinge verso la depressione o l’isolamento, dall’altra può portare all’iperstimolazione: «L’indebolimento dell’influsso paterno – ha scritto Claudio Risé – è una delle componenti che alimentano il carattere “eccitato” della modernità senza padri». Le eziologie e le diagnosi non differiscono molto da quelle di Zimbardo: «Dietro ogni persona sovreccitata (come sa bene l’analista) si nasconde un depresso che non osa dirsi la verità sul desolante vuoto dell’eccitamento». La figura del padre è quella che tradizionalmente richiama al principio di realtà imponendo un contenimento specie durante l’adolescenza. Ma come si sa, oggi i padri tendono a essere più adolescenti dei loro figli maschi.
Qui si apre il grande capitolo dei rimedi possibili, delle responsabilità della scuola e delle istituzioni pubbliche; della necessità di una formazione sessuale che allontani l’autoeducazione visivo-virtuale; della ragionevole necessità di arginare la dipendenza da fiction digitale… dilagante soprattutto nel mondo dei maschi nativi digitali. Sempre più sperduti, sempre più fragili. Sempre considerando però che per fortuna esiste un lato positivo della medaglia quando subentra la consapevolezza. Un esempio: è dimostrato che i videogame, opportunamente dosati, creano sfide appassionanti, offrono l’opportunità di stringere legami sociali magari accrescendo il proprio prestigio, possono diventare autentici programmi di apprendimento e di formazione. Stimolano insomma la cosiddetta «intelligenza fluida». Anche alla luce del «rovescio della medaglia», le soluzioni individuate da Zimbardo per fortuna sono tante e vanno da quelle politico-istituzionali (arginare il calo evidente degli insegnanti maschi nelle scuole, istituire dei corsi su un uso consapevole del digitale eccetera), a quelle private e decisamente più delicate che toccano la responsabilità e l’etica dell’essere genitori.