La Stampa, 17 luglio 2017
Giovanni Tocci, il tuffatore impossibile in una città senza trampolini
Quando il trampolino era una tavola rimodellata per rimbalzare, Giovanni Tocci non avrebbe potuto neanche sognare una medaglia. Doveva già immaginare il trampolino perché a Cosenza era tutto da inventare. Non ha cambiato città, ma è entrato in un’altra dimensione con un bronzo ai Mondiali nei tuffi da un metro. A 10 anni dall’ultima medaglia maschile in questa competizione e a 10 anni dall’inizio di questa favola che va da Sud a Est: «Da una terra che amo all’allenatrice ucraina che mi ha portato fino a qui».
È una storia di numeri quasi impossibili diventati combinazione perfetta. Tocci è nato a Cosenza, è cresciuto lì ed è diventato campione lì, nella città dove studia Lingue all’Università della Calabria. Ha iniziato a tuffarsi a 8 anni insieme con Alessandro De Rose, anche lui a Budapest, convocato per i tuffi dalle grandi altezze. Due bambini e un tecnico visionario, Gaetano Aceti che inventava strumenti inesistenti: «Piallava, legava, inchiodava. Nessuno ha mai capito come facesse ma se ne saltava fuori con il trampolino e ci insegnava a saltare. Anche se lui i tuffi li aveva visti solo su Internet. Si è invaghito di uno sport che non aveva mai fatto. Ma sapeva toglierci ogni paura». In questa fase acerba si vede subito del talento, De Rose passa alle vertigini dei 27 metri e si trasferisce, Tocci insiste e nel 2007 viene notato da Oscar Bertone, allora responsabile del progetto giovani, oggi ct della Nazionale di tuffi che guarda a Tokyo con una nuova generazione.
Prima il bronzo di Elena Bertocchi e ora quello di Tocci che per il salto di qualità ha avuto un’ottima spalla: Lyubov Barsukova. Bertone la chiama nel 2009, lei plasmata dalla tradizione olimpica russa si lascia convincere: «In italiano sapevo dire solo ciao. Passavo ore di allenamento a gesticolare ed ero sempre stravolta». Dopo 8 mesi la raggiunge il marito, i due decidono di restare a Cosenza e ci costruiscono una scuola che ha appena raccolto tre medaglie agli Europei jr e un bronzo mondiale con Tocci. Il bambino da cui tutto è iniziato.
I consigli della Cagnotto
C’è talmente tanto passato in questa medaglia che Giovanni resta un attimo nascosto prima di festeggiarlo. Per terra, con la testa tra le mani, perso in un pianto denso di ricordi. Una strada lunga che sembrava non portare da nessuna parte: «Abbiamo costruito un percorso nostro, un crescendo. Grazie ai miei genitori che ci hanno creduto anche quando il mondo dei tuffi a Cosenza era invisibile». Papà Gabriele, operaio, mamma Liberata, casalinga, «e poi l’altra mamma, la mia allenatrice che non riesce a sgridarmi mai». Difficile usare le maniere forti con un maniaco della perfezione che deve capire ogni passaggio di un tuffo prima di riuscire a eseguirlo. Uno che è in piscina alle 7 del mattino e a 22 anni è a 4 esami dalla laurea.
Come Tania Cagnotto ha sempre saputo sfruttare l’eleganza sul trampolino ed è con questa dote che si è piazzato subito dietro i cinesi, davanti alla medaglia olimpica Hausding: «Ho seguito i consigli di Tania: “Pensa alle piccole cose, riduci tutto al semplice”». L’ha seguita anche sulla pista di «Dance Dance Dance», digressione televisiva prima della consacrazione internazionale.
«Dedicato alla mia terra» e al futuro che sa di Olimpiadi, con il programma dai tre metri ancora da perfezionare e una strada chiara dopo tanti sogni a occhi aperti. Ora a Cosenza il trampolino non è più né invisibile né improvvisato e Lyubov ha imparato l’italiano: «Mi sono anche innamorata della mozzarella e di questa splendida abitudine del Sud. Lì la gente si incontra e non si chiede che lavoro fai ma “Cosa hai mangiato”». Lei, da tecnico, ha collezionato tutti i tipi di medaglie, «manca quella ai Cinque Cerchi, vediamo dove mi porta Gio». Da Cosenza a Tokyo senza mai smettere di puntare a quel che non si vede. Di immaginare quello che non esiste. Di costruire medaglie da trampolini in bilico tra sogno e realtà.