Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 17 Lunedì calendario

Piano da 20 miliardi sui porti. Così la Cina punta all’Artico

La Cina vuole guidare la nuova globalizzazione. E lo fa continuando a estendere il proprio raggio d’azione nella politica di acquisizioni di infrastrutture portuali in atto da tempo. Secondo il Financial Times, gli investimenti in questa strategia sarebbero raddoppiati da 9,97 miliardi di dollari a 20 miliardi di dollari, con un’accelerazione sulle rotte artiche.
Gli investimenti si concentrano intorno a tre rotte marittime – blue economic passages – che Pechino ha definito cruciali per il successo di One Belt One Road, la famosa nuova Via della Seta che comprende direttrici terrestri e marittime. L’area della cosiddetta «cintura» coinvolge 65 nazioni diverse tra Asia ed Europa, più della metà della popolazione mondiale, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale.
Uno studio di Grisons Peak, banca d’affari con sede a Londra, rivela che le aziende cinesi hanno annunciato piani d’investimento in nove porti d’oltremare per 20 miliardi di dollari. Il dato rappresenta una forte accelerazione rispetto al valore precedente dei progetti, che era di 9,97 miliardi di dollari.
«La Cina aveva annunciato le rotte, questo incremento significativo degli investimenti non deve dunque sorprendere», dice Henry Tillman, ad di Grigioni Peak. Il mondo dello shipping resta scettico rispetto all’orizzonte temporale della strategia in atto. «Gli investimenti ci sono, ma le difficoltà maggiori del One Belt One Road saranno politiche e burocratiche, legate ai tanti Paesi coinvolti», osserva Augusto Cosulich, agente marittimo, rappresentante in Italia di Cosco, compagnia di Stato cinese che fornisce servizi di spedizione e logistica con una flotta di 800 navi. «La Cina – continua Cosulich – punta a raggiungere l’Europa da una strada più breve, risparmiando tempo e carburante, ma i volumi dovranno giustificare gli investimenti. Meno futuribile e più concreta è l’aggressione dell’Europa tramite il Pireo e Vado Ligure, che mira a sottrarre traffico ai porti del Nord Europa, a patto che le risposte infrastrutturali in Italia arrivino».
Una delle tre rotte marittime interessate dagli investimenti parte dalla Cina e, attraverso l’Oceano Indiano, si dirige verso il Mediterraneo. Quattro operazioni riguardano la Malesia, con il programma che prevede 7,2 miliardi di dollari su Melaka Gateway; 2,84 miliardi sul porto di Kuala Linggi; 1,4 miliardi sullo scalo di Penang e 177 milioni per i progetti del porto di Kuantan. In Indonesia, la società portuale Ningbo Zhoushan prevede di investire 590 milioni nel progetto Kalibaru, un’espansione di Tanjung Priok, il più grande porto del Paese. Jing Gu, esperto della Sussex University, spiega che lo sforzo di Pechino dimostra l’intenzione di creare buone relazioni di vicinato nella regione: «Ma è anche piuttosto controverso a fronte delle continue questioni sulla sovranità territoriale».
L’altra rotta è quella che dalla Cina raggiunge l’Europa attraverso l’Oceano Artico, itinerario che maggiormente ridurrà i giorni di navigazione. I progetti prevedono la costruzione di un nuovo porto in acque profonde vicino a Arkhangelsk, sul Mar bianco della Russia, e una ferrovia in profondità in Siberia: un piano del gruppo Poly, impresa statale cinese, che dovrebbe realizzare entrambi gli investimenti. Klaipeda, scalo lituano, ha attratto proposte di investimento per la costruzione di un grande terminal container. Contatti ci sono stati anche su potenziali investimenti cinesi a Kirkenes, un porto norvegese sul mare di Barents, e in due porti in Islanda.