La Stampa, 16 luglio 2017
A un anno dal golpe fallito, Erdogan: taglieremo la testa ai traditori
La Turchia a un anno dal golpe fallito del 15 luglio 2016, si divide fra chi pensa di essere in cima al mondo e chi si sente come l’orchestra che suonava sul Titanic.
Il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha organizzato una commemorazione lunga tutta la notte, con due obiettivi principali. Il primo: incoronarlo definitivamente come il padrone del Paese. Il secondo: fare dimenticare, e in fretta, la Marcia per la Giustizia di domenica scorsa alla quale hanno partecipato 1,5 milioni di persone. È riuscito nel suo intento, ma solo per due motivi. Il primo è che c’è una parte della Turchia, non minoritaria, che segue lui e il suo progetto. Il secondo è che, grazie a una stampa pressoché ripiegata su posizioni molto simili alle sue, prima che passi il messaggio contrario, dovrebbe scoppiare una rivoluzione.
Di certo c’è che ieri notte Erdogan ha portato in piazza una folla numerosa, accorata, che ufficialmente commemorava le 250 vittime civili del colpo di Stato mancato, ufficiosamente sanciva per la seconda volta quello che è stato il risultato del referendum dello scorso 16 aprile, che ha dato al capo di Stato un potere pressoché illimitato. Ed Erdogan è pronto a servirsene, anche se l’opposizione, con un risveglio tardivo, glielo vuole impedire a tutti i costi. Ad aiutarlo, ieri, c’era il suo popolo, il più affezionato, per il quale il Capo dello Stato ormai è un leader spirituale.
«Taglieremo le teste ai traditori», ha detto minacciosamente Erdogan nell’esordio del suo discorso a Istanbul. E ha poi ribadito che, se il Parlamento l’approverà, firmerà la legge sulla pena di morte.
Il primo anniversario del golpe fallito è servito per consolidare la sua posizione e per ribadire l’ostilità nazionale contro Fethullah Gülen, l’ex imam in autoesilio negli Usa un tempo potentissimo e suo alleato, oggi considerato la causa di tutti i problemi del Paese, colpo di Stati incluso. L’anniversario è stato preceduto da un’enfasi puntata soprattutto sulla matrice nazionalista e religiosa, i due connotati principali che andranno a connotare la Turchia del futuro. Dalle manifestazioni più colorite come le lezioni di storia ottomana in metropolitana o i manifesti commemorativi, che sembravano l’illustrazione di un film di guerra e notizie ben più inquietanti, come per esempio i dati dell’autorità per gli Affari Religiosi, la Diyanet, secondo la quale, nell’ultimo anno, 2,5 milioni di bambini si sono iscritti a scuole coraniche e all’abbattimento di simboli della vita all’occidentale come il club di Suada, demolito a fine maggio.
È una Turchia dove qualcuno si sente proiettato nella versione moderna dell’impero ottomano e altri, una minoranza, bevono un cocktail alcolico sul Bosforo sperando che non sia l’ultimo. Erdogan lo ha giurato: continueremo a combattere i nostri nemici. Che però sono sempre di più, dentro e fuori il Paese. Il risultato è una Turchia sempre più a sua immagine e somiglianza, con una Istanbul più araba che europea, sempre più triste, sempre più sola.