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 2017  giugno 25 Domenica calendario

Virdis 60: «Riva e Silvio, gol e ferite»

«Buongiorno, è il gusto di Virdis». Sono le undici del mattino e proprio lui, Pietro Paolo Virdis, risponde al telefono per ricevere le prenotazioni nella sua piccola ma raffinata enoteca a Milano, in via Piero della Francesca. L’ex attaccante dal baffo nero e lo sguardo fiero controlla i tavoli, mentre la moglie Claudia si tuffa nel suo regno in cucina. Un piccolo angolo di Sardegna, là dove 60 anni fa è incominciata la bella storia di Virdis, con una correzione d’autore. «Sono nato il 27 giugno, non il 26 come avevano scritto molti giornali, costringendomi a rispondere agli auguri in anticipo. Già che ci sono, aggiungo che a Sassari sono soltanto nato perché i miei abitavano a Sindia. Io, però, sono legato soprattutto a Cagliari, dove sono arrivato a 7 anni».
Cagliari vuol dire Riva…
«Il mio idolo, che incrociavo per strada ma non avevo il coraggio di fermare. Con mio papà andavo al vecchio Amsicora per vederlo giocare. Non dimenticherò mai la prima volta in cui l’ho affrontato: giocavo nella Nuorese, lui nel Cagliari. Finì 2-2 con due gol suoi e due miei e di quel giorno conservo gelosamente una foto».
Lei non è riuscito a rifiutare le cessione dal Cagliari come lui…
«Ma Riva era Riva, nessuno poteva toccarlo. Nemmeno io, nel 1977, volevo lasciare Cagliari, anche se non avevo nulla contro la Juve. Avevo 20 anni e avrei preferito rimanere vicino a mia mamma e alle mie sorelle, dopo la morte di mio padre. E poi il Cagliari aveva perso gli spareggi per salire in A e ci tenevo a riportarlo su. Boniperti venne in Sardegna per convincermi, mentre il presidente del Cagliari, Delogu, mi ripeteva che doveva cedermi perché non c’erano più soldi. Alla fine, mia mamma mi fece capire che era giusto andare e così partii per Torino».
Per la verità l’inizio alla Juventus non fu facile…
«Ma non per colpa dell’accoglienza dei compagni o dei tifosi. Sono stato bloccato da mononucleosi e altri malanni. In compenso a Torino ho conosciuto Claudia, una ragazzina di 15 anni. Ho capito subito che aveva la testa sulle spalle e non mi sono sbagliato: dopo 40 anni è ancora qui con me, perfetta cuoca e perfetta madre dei nostri figli, Matteo e Benedetta».
Come mai poi ha fatto ancora il pendolare tra Torino e Cagliari?
«Visto che non mi ero sbloccato del tutto, chiesi a Boniperti di prestarmi al Cagliari. Mi bastò una stagione, con Riva dirigente e Tiddia allenatore, per ritrovare me stesso, felice di rientrare alla Juve. Quando mi cedettero provai una delusione tremenda. Nel 1982 ero in vacanza a Parigi e chiesi se erano vere le voci sulla mia cessione, ma mi risposero che ero confermato al 99 per 100. Boniperti mi assicurò che non c’entrava niente e gli credo ancora. Intanto però finii a Udine».
Dove un anno dopo arrivò Zico.
«Un grandissimo a tutti i livelli. Con lui riempivamo gli stadi e sfiorammo il piazzamento per entrare in coppa Uefa».
Dall’Udinese al Milan, come fu ?
«Il primo ricordo è la telefonata di Rivera. Era vicepresidente e mi disse che erano stati i giocatori a consigliare il mio acquisto. Nel Milan ho assistito al debutto di Berlusconi a Milanello. Ci parlò delle sue aziende, ma con il Milan ha fatto molto di più. Ho cominciato con Liedholm, poi Sacchi, il più grande rivoluzionario. Guardiola rappresenta una felice sintesi tra i due. Ma se devo parlare dei miei migliori tecnici, dopo Sacchi metto Tiddia e il Radice conosciuto a Cagliari».
Qual è stato il momento più bello al Milan?
«La notte di San Siro, in cui festeggiammo lo scudetto del 1988, dopo il pareggio a Como con un mio gol. A livello personale, il ricordo più bello è la doppietta al San Paolo contro il Napoli, che favorì il sorpasso».
Dopo la coppa dei Campioni, però, lasciò il Milan…
«Cinque mesi prima della scadenza del contratto chiesi a Galliani se mi avrebbero confermato. Mi rispose di sentire Sacchi, che mi consigliò di parlare con la società perché lui mi voleva confermare. Un tira e molla fino all’ultima partita, quando chiesi a Galliani e Sacchi che cosa volevano fare. Rimasero zitti e fecero parlare Berlusconi: “Ti ringraziamo per il lavoro, quando vuoi qui sei di casa”. Nessuno aveva avuto il coraggio di dirmi che non servivo più e per me è una ferita aperta. Il mio cuore è diviso tra Cagliari e Milan». 
Ha segnato più di 100 gol in Serie A, ma non ha mai giocato in Nazionale: altra ferita aperta?
«No, perché evidentemente non lo meritavo. E comunque mi sono goduto l’Olimpica». 
Perché ha chiuso con il calcio?
«Dopo due anni a Lecce, ho fatto l’allenatore. Ma non era la mia strada, così dal 2003 sono qui, felice di vivere a Milano, anche se in vacanza torno sempre in Sardegna».
Crede che Donnarumma alla fine rimarrà?
«Sarebbe bello, diventerebbe una bandiera. Forse si è reso conto di aver fatto il passo più lungo della gamba. Io volevo rimanere e non mi offrivano 5 milioni. Lui ha 18 anni, ha tutto il tempo per guadagnare». 
C’è un nuovo Virdis oggi?
«Mi rivedo un po’ in Kalinic: sarebbe ottimo per il Milan. E mi piace tantissimo Papu Gomez».
Milan a parte, dove le piacerebbe giocare oggi?
«Nel Napoli, ma forse Sarri mi lascerebbe in panchina, perché in attacco vanno a 100 all’ora». 
Crede ancora nella reincarnazione?
«Sì, perché la vita non si spiega razionalmente se non con tante vite. Oggi mi sento realizzato, ma siccome amo il basket mi piacerebbe reincarnarmi in un giocatore di Nba».
Tra tante bottiglie di vino, con quale festeggerà i suoi 60 anni?
«Con una bella malvasia di Bosa, delle mie parti».