Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1976  luglio 14 Mercoledì calendario

Qualcuno conosce la loggia P2?

Claudio Vitalone, Giancarlo Armati, Nicolò Amato, Ferdinando Imposimato: ieri pomeriggio alle 17, in gran segreto, si sono riuniti nell’ufficio del primo, incaricato dell’inchiesta sull’assassinio di Vittorio Occorsio, per mettere a punto la strategia da seguire. Perché proprio questi quattro magistrati e non altri? Perché la pista giusta è quella che, partendo dalla manovalanza nera di «Ordine nuovo», risale, tramite l’anonima sequestri romana, alla «Propaganda 2», una loggia che la massoneria ufficiale ormai non riconosce più e combatte con tutte le armi a disposizione. Cioè quella che (ormai se n’è convinto anche Vitalone, inizialmente scettico) verrà battuta nei prossimi giorni senza risparmio di energie e che probabilmente porterà alla verità, o assai vicino ad essa. Armati, Amato e Imposimato (alla riunione era presente anche il funzionario della squadra mobile Ernesto Viscione) sono i tre magistrati che, insieme con Vittorio Occorsio, indagavano sui sequestri avvenuti a Roma negli ultimi mesi.
Occorsio si occupava dei rapimenti di Angela Ziaco, Alfredo Danesi, Amedeo Ortolani e Marina d’Alessio; Armati di quelli di Anna Maria Montani e Renato Filippini: Amato di quelli di Maleno Malenotti e Giuseppe Lamburghini. A Imposimato, poi, come giudice istruttore, facevano capo le indagini su tutti i sequestri romani, compresi quelli, affidati a Pm occasionali (Armati, Amato e Occorsio, invece, facevano parte, per così dire, della «squadra antisequestri») di: Ezio Matacchioni, Fabrizio Andreuzzi, Gianni Bulgari, Giuseppe D’Amico. C’è da dire, infine, che Nicolò Amato ho detto la sua anche come Pm nel processo contro Albert Bergamelli, Jacques René Berenguer e soci per la rapina in piazza dei Caprettari in cui venne ucciso l’agente di Ps Giuseppe Marchisella. Dopo quella rapina la banda passò ai sequestri, più lucrosi  e meno pericolosi.
Nelle primissime ore del pomeriggio qualcosa è cambiato e Vitalone ha chiesto ai tre colleghi di recarsi al palazzo di giustizia alle cinque in punto per una presa di contatto. Alla riunione ognuno ha detto la sua ma tutti erano d’accordo su un punto: è quella la pista da battere.
I colleghi di Occorsio, quelli, diciamo, che stavano lavorando con lui per sgominare la gang dei sequestri, hanno le idee fin troppo chiare in proposito. Lunedì ce ne ha parlato il pm Giancarlo Armati, ieri un accenno in proposito è venuto dal giudice istruttore Imposimato, il magistrato che avrà l’ultima parola a proposito delle indagini su Albert Bergamelli, su Gian Antonio Minghelli, sulla pletora di personaggi minori che sono finiti a Regina Coeli come complici o come favoreggiatori, sui collegamenti della banda con gli squadristi neri e con i sedicenti massoni, anch’essi legati a filo doppio con i fascisti d’alto bordo.
Ad Imposimato, e contemporaneamente alla Guardia di Finanza, sono pervenute nelle ultime settimane numerose lettere anonime, scritte evidentemente da personaggi della massoneria ufficiale e da esponenti della P2. Lettere contenenti accuse roventi, rivolte dai massoni a quelli della P2 e viceversa. Alcune accomunano in un unico fascio il «gran maestro della massoneria grande oriente d’Italia» Lino Salvini e il reprobo della «Propaganda 2» Licio Gelli. Proprio in questi giorni, Occorsio ed Imposimato stavano esaminando l’incartamento che, per legge, essendo anonimo, non può essere acquisito agli atti a meno che gli accertamenti non stabiliscano la validità del suo contenuto.
Dice Imposimato, 40 anni, napoletano, sposato da poco: «Se un legame c’è tra anonima sequestri e loggia P2, questo è dato da Albert Bergamelli e da Gian Antonio Minghelli. Basterebbe ricordare le frasi pronunciate dai due, spontaneamente, dopo l’arresto».
«Se mi avete preso, vuol dire che qualcuno mi ha tradito. Ma la pagherà cara perché sono protetto da una grande famiglia», disse Bergamelli il 30 aprile scorso mentre, manette ai polsi, sostava in questura. Dieci giorni dopo, interrogato da Occorsio e da imposimato per la prima volta come imputato di concorso nei sequestri di persona, Minghelli dichiarò: «I giornali dicono che io faccio parte della massoneria. È vero: ma questo che c’entra con le accuse contro di me?».
Facile pensare che la «grande famiglia» di cui parlava Bergamelli fosse la massoneria e in particolare, visto il legame Bergamelli-Minghelli e dato che l’avvocato fascista fa parte della segreteria della loggia P2, quella diramazione della massoneria ufficiale che fa capo al maestro venerabile Licio Gelli, aretino, con interessi in una fabbrica di confezioni e, sembra, uomo dei servizi segreti argentini.
In una delle lettere anonime fatte pervenire al giudice Imposimato e alla finanza si parla di contrasti sorti nel marzo del 1975 nella gran loggia massonica. Salvini, il gran maestro – stando sempre all’«informativa» non firmata – venne attaccato da un avvocato palermitano legato agli ambienti della mafia siciliana. L’operazione non sarebbe stata diretta a far dimettere Salvini ma ad avvertirlo: «Non devi più intralciare i passi di Licio Gelli nella operazione trame nere».
L’operazione anti-Salvini, infatti, sarebbe stata diretta proprio da Gelli con la collaborazione del padre di Amedeo Ortolani, iscritto anch’egli alla loggia P2. Inevitabile un riavvicinamento Salvini-Gelli, il primo costretto dal secondo. La nuova, forzata alleanza portò allo «scaricamento» di Ortolani padre. A Gelli non serviva più, Salvini voleva vendicarsi di lui. Inoltre, Ortolani, vista la mala parata, minacciava di parlare. Dice sempre la lettera anonima: fu a questo punto che decisero di punirlo sequestrandogli il figlio Amedeo e prendendo i classici due piccioni con una fava: eliminazione definitiva dal campo massonico di Ortolani padre (che infatti è uscito di scena) e guadagno netto di un miliardo, cioè del prezzo del riscatto. Del sequestro venne incaricato un esperto nel ramo, Albert Bergamelli. Poi, dice sempre 1’«informativa», visto che la cosa andò bene, si passò al secondo sequestro, l’operazione Gianni Bulgari. «I sequestri – dice testualmente l’anonimo – servono a finanziare svolte a destra e la formazione di campi paramilitari fascisti». Finora a proposito del riciclaggio del denaro sporco, gli inquirenti avevano accertato che una parte dei capitali è stata utilizzata per l’acquisto di immobili come una villa di Sabaudia e un residence sulla via Aurelia. Un’altra parte sembra sia finita a Zurigo tramite Maria Rossi, detta Mara, l’amante di Berenguer. Non si era ancora stabilito l’impiego della parte più consistente dei riscatti. Forse Occorsio c’era arrivato. Ma una sventagliata di mitra l’ha fermato.

Intervista di Franco Coppola al Gran Maestro Lino Salvini

 la Repubblica, 17 luglio 1976


È vero o non è vero che una sessantina di persone hanno abbandonato la P2 in polemica con lei e con la sua «tolleranza» verso quella loggia irregolare?
«Non mi risulta che sessanta persone siano uscite dalla massoneria. E la P2 non è una loggia irregolare».
Cosa può dirmi sul conto di Licio Gelli?
«Gelli è un Maestro Venerabile».
Non ha accuse da rivolgergli?
«Io non ho il potere di presiedere un tribunale. Ho solo un potere di grazia qualora un fratello venga espulso».
Quali sono stati e quali sono i rapporti con Gelli?
«C’è stato un periodo di cordiale incomprensione... Da parte mia».
Vogliamo ricordare l’episodio Giuffrida? Cioè le accuse a lei rivolte dall’avvocato siciliano Martino Giuffrida, probabilmente ispirato proprio da Gelli?
«Vede, io sono fiorentino. Gli odi, gli amori non hanno importanza. Giuffrida era un fratello che... ma non ne voglio parlare male... l’ho perdonato. Ad avere importanza sono certe forme di rapporto. Se io non dimenticassi tutto quello che mi può venire detto, non sarei Gran Maestro da sette anni».
Lei non mi ha detto quali sono i suoi rapporti con Gelli.
«Non so se ad ispirare quelle accuse sia stato Gelli. So che, se voglio restare in carica, devo mantenere buoni rapporti con tutti. Cosa crede? Ci sono stati altri attacchi a me, anche più feroci. Altri Grandi Maestri furono attaccati. Perfino Garibaldi lo fu».