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 2017  maggio 23 Martedì calendario

Come è finita la Guerra Fredda?

Cosa rimane della guerra fredda? Quali responsi hanno percorso gli anni e i decenni che ci separano dalla fine del mondo bipolare? Difficile rispondere in modo univoco a quasi trent’anni dal crollo del muro di Berlino e a circa venticinque dall’implosione dell’Unione Sovietica. Eppure gli interrogativi non si limitano a porzioni di un passato sepolto troppo rapidamente, travolto dalle novità inimmaginabili e veloci dello scorcio finale del ‘900. Se il confronto/conflitto tra Washington e Mosca appare e scompare con sorprendente rapidità: radicato e rilanciato nell’era Obama, riassorbito e depotenziato nell’intesa complicata tra Putin e Trump, molte delle questioni sulla fine della dialettica Est–Ovest sono ancora presenti nelle incertezze e nelle inquietudini del mondo che ne è seguito. Si può discutere ancora su chi abbia vinto la sfida decennale, sul segno di quella storica affermazione, sulle ripercussioni e i costi che da quel tornante giungono fino ai nostri giorni.
Tanti i quesiti rimasti senza risposta. Nel mondo del dopo guerra fredda le certezze vacillano fino a mettere in discussione l’orgogliosa rivendicazione iniziale di chi pensava dopo tante fatiche di poter alzare al cielo un trofeo. Il segno di un trionfo annunciato: questo prevale nelle intenzioni e nei contenuti di chi parla e scrive di fine della guerra fredda nei primi anni Novanta del secolo XX. Ma con il passare del tempo i contorni del trionfo sono meno nitidi e scontati. Ne ha scritto di recente Robert Service ( The End of the Cold War 1985- 1991, Pubblic Affairs) mettendo insieme interrogativi che viaggiano su diversi supporti: memorie di protagonisti, dibattiti tra studiosi di vari paesi, documenti ufficiali di archivi nazionali o agenzie d’intelligence. Quali sono i punti cruciali di una domanda che sembrerebbe irricevibile? Chi ha vinto la guerra fredda? O per dirla con altre voci coinvolte o interessate: come si è veramente concluso il grande conflitto della seconda metà del secolo breve? Il centro dell’attenzione si sposta sul significato della vittoria, sui lasciti di un mondo che non c’è più, sulle eredità difficili che da quella frattura prendono forma. E qui i temi diventano controversi, segnati da una irriducibile compresenza di passato e presente, come se quella guerra conclusa non avesse ancora completato la sua parabola carica di effetti e possibili ripercussioni.
Tre chiavi di lettura si confrontano a partire dal rimpianto malcelato per un sistema internazionale regolato e condiviso. Nessuna nostalgia sia ben chiaro, ma la convinzione che alla vittoria dell’Occidente non sia corrisposto un adeguato disegno in grado di armonizzare il nuovo mondo che veniva avanti. E di conseguenza il segno di un disordine incontrollabile in grado di far risorgere antiche questioni (nazionalità, confini, egemonie conflittuali) e di promuoverne di inedite appare come il segno dominante della debolezza di quella storica affermazione. Un perimetro condiviso definisce la regole del gioco, stabilisce argini e convergenze, contribuisce a rafforzare il senso di un limite insuperabile che vincola e condiziona i diversi protagonisti.
In secondo luogo il ritorno della guerra nelle forme nuove che segnano gli anni del XXI secolo: guerre di religione, conflitti identitari, terrorismi di matrice composita. In molti casi fantasmi che sembravano sconfitti e cancellati tornano attuali, si affacciano sulla scena della storia in un quadro instabile e privo di guida certa, di un punto di equilibrio che sia capace di rimuovere le cause che seminano terrore.
Ecco il punto chiave. Se il nuovo mondo è quello dell’inquietudine diffusa, delle paure ataviche e irrazionali, delle incertezze inconciliabili allora il tramonto del vecchio è meno rassicurante e conveniente, appare come un’incognita più che una vittoria da celebrare. E i fasti di una certa storiografia trionfalistica lasciano il posto alle tante domande sulla tenuta del sistema internazionale, sul peso e l’efficacia delle istituzioni rappresentative, sulla crisi della democrazia nelle forme che il Novecento ha consegnato alle generazioni successive dopo la fine del comunismo. Questioni che non ammettono sconti o zone franche: vincitori e vinti della guerra fredda sono immersi in simili difficoltà che investono tanto gli Stati quanto gli organismi internazionali più accreditati. L’inquietudine prevale come condizione unificante, tratto costitutivo di un ordine internazionale che ancora non riesce ad affermarsi come tale.
E da ultimo il ruolo dei protagonisti. Chi avrà più voce in capitolo? Quale forma potrà prendere un confronto tra vecchie e nuove super potenze? Possiamo immaginare un bipolarismo di tipo nuovo, Usa–Cina come molti sostengono, o addirittura lo scenario minaccioso delle democrazie avversate da fondamentalismi o populismi. Chi si oppone crede che nonostante tutto un’architettura multipolare rappresenti una carta valida su cui scommettere nella considerazione delle nuove priorità geo-politiche (a partire dall’area del Pacifico). Questa ipotesi riguarda l’Europa e il suo destino, il futuro di regioni e continenti, la possibilità che dalle ceneri del bipolarismo (la guerra fredda come ultimo conflitto per l’Europa) possa farsi strada un sistema regolato, condiviso e aperto ai temi e alle sfide del mondo globale. Un terreno di confronto aspro che ha già offerto i primi responsi controversi: la rilanciata centralità della forza e della tecnologia militare, il ruolo chiave delle Nazioni Unite nella proposizione di scelte e indirizzi condivisi, il peso e la responsabilità di chi tenta di uscire dalle ottiche ristrette degli interessi nazionali. Come scriveva qualche anno fa un lungimirante Federico Romero chiudendo la sua sintesi ( Storia della guerra fredda, Einaudi, 2009): «Un Occidente pur fiero delle sue faticose acquisizioni di democrazia, prosperità e libertà non deve nascondersi queste molteplici e contraddittorie dimensioni, talora anche oscure, che il suo percorso vincente attraverso la guerra fredda ha comportato. Perché se l’epoca della guerra fredda si è chiusa nel 1989 i lunghi riflessi delle sue luci e delle sue ombre tramontano tuttavia con grande lentezza, e saranno tra noi ancora per un bel pezzo».