Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  maggio 23 Martedì calendario

«Il massacro dei genitori deciso un mese prima e poi nessun pentimento»

BOLOGNA Lucidi, determinati. Avevano pianificato tutto nei minimi dettagli da almeno quattro settimane. E a distanza di quasi cinque mesi non c’è traccia di pentimento nei due minorenni assassini di Nunzia Di Gianni e Salvatore Vincelli. Sia il figlio sedicenne della coppia di ristoratori che il suo amico, complice ed esecutore materiale dell’omicidio, appaiono pienamente consapevoli di quello che hanno fatto, ma secondo gli operatori che li seguono in carcere, non sono ancora sulla strada del ravvedimento.
Il pm del tribunale dei minori di Bologna ha ormai chiuso l’inchiesta a loro carico. Le ultime informative dei carabinieri di Ferrara e dei periti sono arrivate sul tavolo della procuratrice Silvia Marzocchi soltanto la settimana scorsa. E ora non resta che ricucire un quadro che era già piuttosto chiaro per chiedere nel giro di qualche giorno, così pare orientata l’accusa, il processo immediato. Si va a giudizio quindi, saltando la fase preliminare davanti al gip e con un impianto accusatorio che, se possibile, è ancora più solido. Puntellato ulteriormente dall’analisi che gli specialisti dei carabinieri hanno svolto sulle memorie dei telefonini dei ragazzi. Analisi dalle quali emerge che i due si erano scambiati messaggi espliciti su come seguire il duplice omicidio fin dai primi di dicembre 2016. Ossia un mese prima della tragica notte tra il 9 e il 10 gennaio scorsi.
Secondo la ricostruzione, gli assassini si erano fermati a dormire nel garage di casa della coppia. Una sorta di piccola dependance nella quale il figlio si era arredato una stanza indipendente. Nell’oscurità erano entrati in casa e, mentre l’amico uccideva a colpi d’ascia i coniugi che erano ancora a letto, il figlio aspettava al piano di sotto, per poi aiutare il complice a far sparire i corpi facendoli affondare in uno degli affluenti del Po.
Dai messaggi, che peraltro coincidono con le confessioni dei minori, risulta che i due si erano scambiati opinioni sull’arma da utilizzare per il delitto. Che avevano pensato di usare una spada custodita in casa o altre armi da taglio di diverso tipo. Poi la scelta sarebbe caduta su un’ascia da «usare dalla parte del retro e non dalla lama», per evitare un eccessivo spargimento di sangue. Quindi le buste di plastica per avvolgere la testa delle vittime e le corde per legare i corpi da inabissare dove le acque del fiume sono più profonde. Particolari agghiaccianti che, secondo l’accusa, dimostrano la premeditazione. Il piano era poi fallito perché i due non erano riusciti a trasportare i cadaveri fino all’auto dei Vincelli. Da quell’imprevisto era nato il cambio di strategia, che li aveva costretti ad andare a casa dell’amico e attendere il primo pomeriggio, quando il figlio della coppia era tornato a casa e aveva dato l’allarme, fingendo di aver appena ritrovato i corpi.
Contro di loro una marea di elementi e incongruenze che gli specialisti dei carabinieri di Ferrara avevano smontato nel giro di alcune ore. Quindi la confessione e l’arresto. Un massacro di fatto senza un movente, che anche a distanza di mesi fatica a emergere chiaramente. Il figlio, da mesi in conflitto con i genitori per lo scarso rendimento scolastico e per la poca voglia di lavorare nel ristorante di famiglia (La Greppia, a San Giuseppe di Comacchio) aveva chiesto aiuto all’amico per disfarsi dei genitori che lo rimproveravano. E l’altro, senza battere ciglio, si era detto disponibile ad uccidere per lui.
Una follia, si direbbe. Che però non trova riscontro in alcune perizie chieste dai difensori. I due, in questo senso, secondo indiscrezioni, avrebbero agito in maniera lucida e consapevole. La stessa tesi sostenuta anche da chi, nelle carceri per minori di Bologna e Torino, ha lavorato a contatto con i due ragazzi. Sia pure con momenti di alti e bassi, non sarebbero stati rilevati oggettivi segnali di pentimento. Al di là delle parole e delle buone intenzioni manifestate, da parte sia dell’esecutore materiale che del mandante degli omicidi, gli operatori non avrebbero rilevato percorsi di ravvedimento in atto.
Se così fosse, è ipotizzabile che i legali decideranno di chiedere il rito abbreviato nel tentativo di ottenere un consistente sconto di pena.