Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2017
Adesso Trump fa salire l’oro (e indebolisce il rame)
Anche i mercati dei metalli hanno bruscamente interrotto la luna di miele con Donald Trump. Se l’elezione del presidente americano aveva messo il turbo alle quotazioni del rame e lasciato indifferente l’oro, adesso la situazione è capovolta: ora che la Casa Bianca è nella bufera, investita da una serie di scandali che suggeriscono addirittura la possibilità di un impeachment, i metalli industriali stanno andando a picco, mentre l’oro si è rimesso a correre con un’intensità che non si vedeva dall’epoca della Brexit.
Le quotazioni del lingotto mercoledì hanno guadagnato il 2%, il rialzo giornaliero più forte da giugno 2016, e ieri si sono spinte fino a 1.265 dollari l’oncia, prima di ripiegare poco sotto 1.260 $ dopo i dati positivi sull’occupazione Usa, che hanno quanto meno attenuato l’ipotesi – che già comincia a circolare – di una frenata della Fed nel percorso di rialzo dei tassi di interesse.
L’oro ha superato la media mobile degli ultimi 200 giorni e secondo gli analisti tecnici, se riuscirà a sfondare anche la prossima resistenza, a quota 1.270 dollari, potrebbe avere la strada spianata verso il traguardo dei 1.300 dollari l’oncia.
L’umore sul mercato è quello giusto, con una fuga dal rischio che si è tradotta in una ricerca di beni rifugio e in pesanti ribassi per i listini azionari e per una parte delle materie prime.
I più penalizzati sono i metalli non ferrosi, secondo alcuni analisti perché starebbe sfumando la possibilità che Trump mantenga davvero le sue promesse: dal piano faraonico per le infrastrutture al taglio delle tasse, alla deregulation.
Al London Metal Exchange le vendite si sono effettivamente intensificate negli ultimi giorni, proprio mentre negli Stati Uniti stava montando il Russiagate. Il rame ha praticamente azzerato i guadagni di quest’anno, toccando ieri un minimo di 5.485 $/tonnellata sulla borsa londinese, lo zinco è sceso ai minimi dallo scorso novembre (2.459,50 $), il nickel è andato sotto 9mila $, in ribasso del 9% da inizio anno.
Proprio come l’autunno scorso Trump non è comunque l’unico (e probabilmente neppure il più forte) fattore di influenza per i metalli non ferrosi. Le vicende della Casa Bianca sono suggestive e senza dubbio suggestionano molti trader, contribuendo a rafforzare il sentiment, positivo o negativo che sia. Ma è soprattutto quello che accade in Cina a determinare la direzione dei prezzi al Lme.
Mesi fa Pechino stava stimolando l’economia attraverso investimenti in infrastrutture e politiche favorevoli all’edilizia. Oggi invece sta privilegiando la lotta contro la finanza ombra e la riduzione dell’immensa mole di debiti, in gran parte deteriorati, che minaccia la solidità del Paese. La stretta al credito inizia a pesare anche sui consumatori, con i prezzi delle case ormai quasi fermi ad aprile nelle grandi città.
Il primo termometro che ha segnalato il cambiamento di umore nei confronti della Cina è stato il minerale di ferro, che ha invertito la tendenza rialzista a fine febbraio, dopo aver toccato un massimo pluriennale di 94,86 $/tonn (Metal Bulletin) e da allora è crollato di oltre un terzo, fino a scendere sotto 60 $. Sui mercati cinesi i ribassi hanno colpito anche l’acciaio, il carbone e infine i metalli non ferrosi. Il contagio del Lme (dove peraltro operano anche molti hedge fund cinesi) era un evento quasi ineluttabile.
.@SissiBellomo