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 2017  maggio 18 Giovedì calendario

Via gabbie e reggiseni: il corpo libero divenne una danza di pelle e stoffe

L’ impulso del Cubismo di fare a pezzi, sulla tela, la figura umana rifletteva la tendenza di un’epoca che, nel primo ventennio del Novecento, smaterializzò a più livelli il perimetro del corpo, sciogliendo profili rigidi, gabbie e costrizioni per svelare una nuova libertà.
Così, le donne abolirono i corsetti steccati con reggiseni che appiattivano il petto come i «mamillari» dell’era romana e si abbandonavano, nei balli sociali, al charleston che scopriva caviglie e polpacci, mentre i capelli si accorciavano à la garçonne.
Non era certo anarchica sciatteria, ma una scossa vitale al modo di intendere le possibilità del corpo, da declinare nello sport come nella danza e da affinare attraverso lo studio dell’anatomia e la tecnica delle misurazioni.
Si trattava dell’ultimo stadio di un fenomeno emerso sul finire dell’Ottocento, in Mitteleuropa, in seno alla Jugendbewegung, il movimento degli studenti della buona borghesia tedesca che si ribellavano a modelli sociali asfittici cercando nuova linfa ideologica nella purezza incontaminata della natura: la locuzione latina di Giovenale «mens sana in corpore sano» si traduceva nella nuova Körpenkultur, la cultura del corpo che rivoluzionò il costume, trasformando l’idea di igiene e tempo libero, le arti e le discipline sportive.
Spuntarono così, nel primo Novecento, modelli femminili di forte carisma in mondi paralleli.
Le analogie tra la ballerina-coreografa Isadora Duncan e la tennista Suzanne Lenglen sono eclatanti tanto da legare, con un invisibile filo rosso, la danza rivoluzionaria della prima al tennis moderno della seconda. Entrambe amanti di stole e foulard, accessori fascinosi e libertari da avviluppare intorno alla fronte o al collo (particolare che fu letale per la Duncan, strangolata dalla sciarpa infilata nei raggi della sua Bugatti da corsa), furono donne da record: la francese Lenglen rimase imbattuta dal 1919 al 1926, la californiana Duncan andò in Russia, in tour pionieristico, danzò per Lenin e sposò Esenin.
Erano snob (Suzanne fu «La Divine» per la stampa d’Oltralpe), ma allo stesso tempo pop e consegnarono ai posteri un’arte e uno sport non più aristocratici. Se Lenglen spedì, nella soffitta del tennis, i guanti bianchi e gli abiti lunghi sfoggiando sui campi di terra rossa audaci gonnelline, Duncan si circondò di vestali scalze, le «Isadorables», figurine di un bassorilievo danzante staccato dall’iconografia della Grecia Antica e del Rinascimento.
Erano gli anni in cui sul Monte Verità ad Ascona, Svizzera, intellettuali e artisti intrecciavano girotondi, agghindati con tuniche chiare e ghirlande di fiori nei capelli, in comunità «proto-hippy» dove si praticavano nudismo, naturismo, vegetarianesimo. Le foto d’epoca ritraggono il coreografo Rudolf von Laban nei boschi, come un guru silvestre: grande teorico di un’arte del movimento libero e istintivo (da cui discendono la danza espressionista tedesca e quella astratta americana), Laban stigmatizzava l’approccio razionale al movimento raccontando la storiella cinese del millepiedi morto di fame perché costretto a muoversi cominciando sempre dalla settantottesima zampa.
A dare corpo alle teorie del maestro fu l’allieva prediletta Mary Wigman, ritratta nell’albo d’oro del Monte Verità mentre salta, completamente nuda, sullo sfondo di un canneto. Il filone naturista sfociò ad Ascona nella creazione di un vero e proprio sanatorio: per gli ospiti, capanne d’arie e di luce, dieta vegetariana rigorosamente crudista, bagni di sole e d’aria (Luftbäder). Insomma, quella che oggi chiameremmo una spa.
Tra gli ospiti celebri, Hermann Hesse annotò dopo sette giorni di digiuno: «La mia pelle si era rigenerata. Mi ero abituato alla nudità, al letto duro, al calore del sole e al vento freddo della notte. Avevo la sensazione di rafforzarmi. Stavo per mettere radici e ritornare a uno stadio vitale minerale e vegetale». Era nato il wellness.