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 2017  maggio 18 Giovedì calendario

Quella strategia del pazzo con cui Donald tenta di difendersi

Alla vigilia della missione in Medio Oriente, Israele, Arabia Saudita, G7 e visita di Papa Francesco, può il presidente Donald Trump, Gulliver legato dai Lillipuziani, ritrovare una strategia credibile di governo? Sembrava ce l’avesse fatta a decollare, finalmente, con i primi passi per bocciare la riforma sanitaria di Obama, invece la pestifera trama Fbi, Russia, dossier top secret lo rimette alle corde.
Trump deve uscire da quella che il senatore repubblicano Booker chiama «una picchiata», mentre il suo collega McCain e l’ex consigliere di Nixon Gergen parlano di «Watergate» e «impeachment», e il deputato repubblicano Dent di «commissione di inchiesta». Le voci di Washington sussurrano se ne stia rinchiuso nei suoi appartamenti, malmostoso, in lite con tutti mentre i collaboratori combattono tra loro a forza di soffiate ai giornali che lo infuriano ancor di più. Eppure il presidente ha dalla sua parecchi punti di forza su cui far leva e val la pena di esaminarli.
La rimozione via 25esimo emendamento, proposta sul New York Times dal columnist conservatore Douthat, ha scarse chances, il governo dovrebbe mettere Trump in minoranza e deferirlo al Congresso, che con maggioranza di 2/3 potrebbe farlo decadere. Difficile, con la base repubblicana saldamente dietro Trump (anche se l’esperto di Big Data Nate Silver intravede una prima, timida, diaspora) e il leader del Senato McConnell – la cui moglie, Elaine Chao, è stata con astuzia nominata ministro dei Trasporti – tetragono con il presidente. Con le elezioni di midterm nel 2018, nessun parlamentare vuol essere il primo a denunciare la Casa Bianca.
Trump progetta dunque di resistere all’assedio, a costo di perdere per strada i moderati, Tillerson, McMaster, Mattis, Mnuchin: come Saturno ha già divorato Flynn e Comey e mezzo masticato il duro Bannon. Il piano preparato per lui dal capo di gabinetto Priebus gli propone di arroccarsi sulla coalizione conservatori-populisti, affascinandola con uscite estemporanee e tweet rabbiosi senza curarsi troppo dei media liberal e dei repubblicani perplessi. L’America è così divisa nelle sue tribù politiche che la scelta potrebbe funzionare, almeno fino al 2020. La debolezza cruciale del disegno è, però, proprio nel protagonista, Trump, che ogni giorno riapre con mancanza di riguardo per etica, istituzioni e lealtà allo staff, conflitti che potrebbero rivelarglisi infine fatali.
In tanti infliggono al presidente l’antica tortura cinese dei mille tagli, minuscoli graffi che da soli non sono mortali, ma insieme dissanguano. A colpire non sono solo democratici e media, dall’ombra lo feriscono i pentiti del suo staff, disperati per la cronica incapacità del presidente di darsi ordine di lavoro, routine di governo senza eccessi, rotture, scatti. Il caos blocca le riforme economiche su cui i suoi elettori, che gli restano fedeli, e la Borsa scommettevano e ieri discesa del dollaro e segno meno a Wall Street provano la delusione dei mercati.
Trump è Trump, non cambierà. Ha licenziato il consigliere Flynn per non essere travolto dalla sua caduta, ma lo rimpiange ogni giorno e considera il suo stimato successore McMaster «un logorroico rompic…». Rompere regole e buone maniere ha portato il costruttore di New York al successo e alla Casa Bianca, se i suoi metodi irrituali lo mettono in difficoltà, lui li considera talismano magico e non smetterà di impugnarli. L’avvocato Gianni Agnelli amava ricordare un suo vecchio maestro di scherma, alla Scuola Allievi Ufficiali di Cavalleria, in Piemonte, che alla fine del corso disse ai cadetti: «Vi ho insegnato ogni strategia in un duello, tranne quella del Pazzo. Voi, come il vostro avversario, calcolerete sempre rischi e vantaggi, ma chi per infliggervi un graffio accetta di rischiare una stoccata al cuore, il Pazzo, è nemico assai duro perché imprevedibile».
Donald Trump incarna la strategia del Pazzo nell’era digitale, un tweet al posto del fioretto. Dal Papa alla Merkel, i leader si preparano puntigliosi a negoziare con lui, Trump guarda appena i cartoncini con i punti principali in evidenza, pronto a ignorarli e seguire il fiuto, incurante dei fulmini dei media. Rischia tutto per il nulla, una vanteria gradassa con i russi, certo, come la Lepre della fiaba, di saper correre più veloce della Tartaruga-Realtà. Ce la farà? «Rifare l’America Grande», come assicurava dai cappellini rossi in campagna elettorale, si rivela lavoro faticoso, ieri Detroit, che sognava di rilanciare in stile Anni 50, ha annunciato tagli nell’occupazione, prima la Ford, -10%, numeri brutti come una tartaruga.
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