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 2017  aprile 27 Giovedì calendario

La prima portaerei made in China. Pechino punta al dominio dei mari

Come vuole la tradizione, la bottiglia di champagne si è infranta sullo scafo. Così, seguendo i riti scaramantici validi a ogni latitudine, ieri mattina Pechino ha varato la prima portaerei completamente «Made in China». La nuova nave da guerra è stata costruita nei cantieri navali di Dalian, nel Nord-Est della Cina, ed è l’ultima dimostrazione della crescente forza sui mari di Pechino. La nuova unità entrerà, però, in servizio solo dopo altri due o tre anni di test tecnici. Con una stazza di 50 mila tonnellate e una lunghezza di 315 metri, la nuova Type-001A è di poco più grande rispetto alla Liaoning, la portaerei di fabbricazione sovietica, acquistata dalla Cina in Ucraina e che dal 2012 è parte della flotta della Repubblica Popolare.
Sui social cinesi il varo della portaerei ha attirato una pioggia di commenti dal sapore nazionalista, ma c’è anche chi nota il forte divario con la potenza navale Usa. Infatti, la US Navy può oggi contare su dieci portaerei, mentre altre due sono in costruzione. Inoltre, le portaerei cinesi mostrano limiti nelle dimensioni e in altri dettagli tecnici rispetto alle navi da guerra a propulsione nucleare che fanno parte della flotta americana. Per questo, anche se la Cina sta già lavorando a navi da guerra di nuova generazione, per ora la dottrina militare di Pechino rimane concentrata a livello regionale. Ieri il ministro degli Esteri Wang Yi ha fatto un appello a Usa, Corea del Sud e Pyognyang per raffreddare le tensioni, avvertendo che «il pericolo di guerra è grande».
È soprattutto in Asia che la Cina mantiene i propri tradizionali interessi strategici: Taiwan, le contese territoriali con il Giappone e sulle isole nel Mar Cinese Meridionale. Non sorprende, quindi, che negli ultimi mesi la portaerei Liaoning sia stata impegnata in esercitazioni militari proprio in questi teatri marittimi. Inoltre, il varo della portaerei avviene nel mezzo delle tensioni tra Corea del Nord e Stati Uniti. In questi giorni nei mari dell’Asia orientale sono in corso esercitazioni militari tra Washington e gli alleati dell’America nella regione, il sottomarino nucleare Michigan è ancorato nel porto di Busan e la flotta capitanata dalla portaerei Uss Carl Vinson è in lento avvicinamento alla penisola coreana.
Una delle priorità dell’amministrazione del Presidente cinese Xi Jinping è stata proprio la modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione. La Cina prevede il progressivo spostamento di uomini e risorse dalle forze di terra – che oggi contano un milione e 600 mila soldati – verso la marina e l’aviazione. Come si legge nei documenti ufficiali di Pechino, è già una trentina d’anni che la Cina ha iniziato a trasformare la propria dottrina militare: passando dalla tradizionale difesa dei confini terrestri per iniziare a rivolgere la propria attenzione agli oceani. La Cina che apriva alle riforme economiche doveva, infatti, proteggere le rotte marittime su cui viaggiano le esportazioni di Pechino. Nell’ultimo decennio, però, la marina cinese ha iniziato ad allungare la propria proiezione anche sui mari globali. Da fine 2008 è impegnata in missioni anti-pirateria al largo della Somalia: la prima di questo tipo condotta da Pechino al di fuori delle proprie acque territoriali. Mentre, sempre nel Golfo di Aden, a Gibuti, la Cina sta costruendo la sua prima base navale all’estero. Una posizione strategica, quella del Corno d’Africa, da cui si controllano le rotte commerciali ed energetiche tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo. In questi anni, però, le forze navali cinesi hanno operato anche in aree di crisi.