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 2017  aprile 27 Giovedì calendario

I primi cento giorni di Trump. I suoi elettori non si pentono nonostante i pochi successi

«No regrets», niente rimpianti. Ieri il giornale «Usa Today» ha riassunto così in prima pagina l’esito di un focus group tenuto con gli elettori di Donald Trump, per giudicarlo dopo i primi cento giorni di governo. Se ha ragione lui, in America si sta perpetuando il malinteso dell’8 novembre scorso. Da una parte, i sondaggi e i media liberal considerano disastroso l’esordio del capo della Casa Bianca più inusuale di sempre; dall’altra, i suoi sostenitori restano fedeli, e chiedono quanto meno di dargli più tempo prima di bocciarlo.
Un paio di settimane prima della sua sorprendente vittoria, Trump aveva tenuto un discorso a Gettysburg in cui aveva steso il programma per i primi cento giorni di governo. In quel luogo così simbolico per la redenzione degli Stati Uniti, aveva fatto 28 promesse per rifare subito grande l’America. Di queste, 18 dovevano avvenire per decreto il primo giorno in cui avrebbe messo piede nell’Ufficio Ovale. Sabato scadono i cento giorni, ma adesso Trump dice che sono «uno standard ridicolo» per giudicare il successo dell’amministrazione. La ragione sta nel fatto che non ha molti successi da rivendicare, ma il vero punto per il suo futuro sta nel capire quanto tempo sono disposti a dargli ancora i suoi elettori, e soprattutto i suoi compagni repubblicani. Perché loro hanno la maggioranza al Congresso, da loro dipenderà la possibilità di far approvare qualunque iniziativa legislativa, e loro si giocheranno il posto nelle elezioni midterm del 2018.
Il bilancio delle 28 promesse di Gettysburg è abbastanza impietoso. L’unico vero risultato ottenuto da Trump, forse il più importante perché peserà per diverse generazioni, è la conferma di Neil Gorsuch come giudice della Corte Suprema. I conservatori così hanno mantenuto il seggio lasciato vuoto dalla morte di Antonin Scalia, e salvato la maggioranza che dirà l’ultima parola su tutte le questioni capaci di fare la differenza nella vita delle persone, dall’immigrazione ai matrimoni gay. L’attacco in Siria non faceva parte delle promesse, ma ha confermato la muscolarità di Trump, regalandogli almeno una settimana positiva. Poi ha rilanciato l’uso del carbone e delle fonti di energia fossili, ed eliminato diverse altre regole i cui effetti sono da vedere.
Il fallimento peggiore è stato quello sulla riforma sanitaria, anche se ora sta emergendo un nuovo compromesso che potrebbe portare alla sostituzione di Obamacare, seguito dall’imbarazzante vicenda del bando per migranti e rifugiati in arrivo da sette paesi a maggioranza musulmana, bocciato dai tribunali. Per evitare di ripetere il flop in Congresso, ora il presidente ha rinunciato a chiedere i soldi per costruire il muro lungo il confine col Messico nella prossima legge di bilancio, perché altrimenti avrebbe rischiato già domani lo shutdown, cioè il blocco delle attività non essenziali dello Stato.
Il resto per ora sono ancora promesse, come la riforma fiscale presentata ieri, che deve cominciare il processo di approvazione parlamentare superando le resistenze dei repubblicani contrari a gonfiare il debito pubblico, nella speranza che poi la crescita generata aiuti a tappare i buchi.
La caduta del consigliere per la sicurezza nazionale Flynn e l’inchiesta sulle collusioni tra la campagna elettorale di Trump e la Russia resta sullo sfondo, come una minaccia che per i democratici potrebbe portare all’impeachment, mentre la crisi in Corea del Nord è il vero banco di prova della capacità del nuovo presidente di cambiare gli equilibri internazionali, senza scatenare un conflitto nucleare. Le lotte interne, soprattutto tra il consigliere Bannon e il genero Kushner, dimostrano poi una tensione che va oltre lo scontro fra estremisti e moderati, anti global e globalisti, populisti nazionalisti ed establishment.
In base ai sondaggi, il gradimento di Donald è intorno al 40%, cioè la soglia più bassa durante la «luna di miele». I sondaggi però avevano già sbagliato tutto a novembre scorso, e alcune eccezioni lo danno al 50%. Così «Usa Today» ha organizzato un focus group di elettori di Trump, e il 100% ha detto di non aver rimpianti: sta cercando di mantenere le promesse – è il succo – bisogna dargli tempo. Chi lo ha scelto era così esausto, da essere pronto ad aspettare ancora per vedere se saprà davvero restituire l’America alla grandezza. I colleghi repubblicani invece avranno bisogno di risultati concreti, soprattutto su economia e lavoro, entro la fine dell’anno, quando saremo di nuovo in campagna elettorale per le midterm del 2018, che saranno il vero referendum sulla presidenza Trump.