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 2017  aprile 27 Giovedì calendario

Ho il diritto di odiare i terroristi islamici che ci vogliono morti

Io, invece, vi odio, e mi sento migliore di tanti altri proprio perché riesco ancora a odiare: riesco ancora a farlo, cioè, a dispetto dell’ignavia e dell’abulia che gli anni e questo tempo si portano dietro. Non si tratta di eleggere l’odio a modus di vita o di passare i pomeriggi al parco a bastonare gli uccellini, ma questa proliferazione di «io non vi odio» rivolto a degli assassini islamici (il cui odio è proibito odiare) sta infatti portando a confondere l’odio con la rabbia, col risentimento incontrollato, con l’istigazione alla violenza purchéssia: che sono altra cosa. 
E sarebbe facile cavarsela, ora, dicendo che l’odio è solo l’amore visto di spalle, che odiare è democratico esattamente come l’amare, che l’odio è un’emozione fredda così come fredda e incrollabile è la passione civile, la dedizione, la fede laica nelle idee. Dire che l’odio è un sentimento e può essere deprecato moralmente e perciò giudicato: ma non da un tribunale, perché nessun tribunale occidentale potrà impedirmi di amare chi voglio e che cosa voglio, dunque impedirmi di odiare il suo contrario e chi vuole distruggerlo. E, sempre per paracularmi, potrei infilare un paio di citazioni colte (Orazio e Ovidio su tutti) qualora non fosse chiaro che generalizzare è sbagliato in entrambe le direzioni, che odiare l’islam è legittimo ma l’islamofobia non lo è, perché quest’ultima è solo paura. Ma sarebbero, appunto, solo paraculismi, roba per rilasciare patenti alla paura del diverso. Non ci penso nemmeno, tuttavia il leitmotiv «non avrete il mio odio», pronunciato pubblicamente da due uomini rimasti vedovi per mani di assassini islamici, qualche interrogativo lo pone. Un conto dopo che ci hanno trucidato la famiglia o bersagliato il Parlamento è ostentare che la nostra vita civile ricomincerà da dove era stata interrotta, come se niente fosse stato; un altro conto è che tutto prosegua perché siamo diventati degli imbelli, e perché questa sera c’è la puntata di Amici. È giusto o comprensibile voler raffreddare gli animi, opporsi a bellicismi impulsivi, recuperare lucidità prima di agire, purché poi si agisca, soprattutto si recuperi una fermezza che con la paura non ha niente a che vedere. Rivendicare il diritto a odiare il fanatismo islamico, male che vada, può provocare una reprimenda della Boldrini o un processino intentato dall’Ordine dei Giornalisti, ma non pare che gli integralisti islamici stiano ad attendere le nostre provocazioni (quelle di Libero, poi) per volerci annientare in quanto occidentali. Annientarci tutti, senza distinguo: donne, bambini, provocatori e chicchessia. Non è il caso di ripetere che questa gente vuole cancellare una civiltà e basta, e che il nostro terrore mascherato da self control è quanto espressamente ricercano e, al tempo stesso, quanto più odiano: perché odiano proprio la nostra normalità, la nostra indifferenza agnostica di gente che va al ristorante e ai concerti mentre c’è la guerra santa. 
Ma un uomo a cui uccidono la compagna, e che però dice di non odiare gli assassini, al minimo è lobotomizzato, cioè non è più un uomo. E tutta una civiltà con lui. Il compagno del poliziotto ucciso agli Champ-Elysées, ai funerali, si è rivolto al defunto e ha detto che «il dialogo, la tolleranza e la temperanza erano le tue armi migliori». Beh, sarà meglio cambiare armiere, perché il Califfato si è mostrato più sensibile ai bombardamenti e ai blitz delle forze speciali, magari, ecco: condotti con tolleranza e temperanza e soprattutto senza odio. Ma l’odio è dicono i vocabolari un sentimento di avversione, rifiuto, ripugnanza, astio e malanimo nei confronti di qualcosa o di qualcuno. 
E io rivendico il mio diritto democratico di provare avversione, rifiuto, ripugnanza, astio e malanimo nei confronti di qualcosa o di qualcuno che vuole annientare me e le persone a cui voglio bene, e sono liberissimo di odiare anche la cultura religiosa che esprime questo. Dichiararlo, ora, è quasi stucchevole, ma forse dovreste ripensare al tempo che stiamo vivendo a 16 anni dall’11 settembre. È molto più facile parlar male del Papa che non di un milione e mezzo di islamici (lo so bene, essendo io anticlericale) ed è diventato quasi impossibile antipatizzare genericamente per l’islam (chessò, su Facebook) senza che scattino censure. La paura di offendere una cultura e una religione che personalmente trovo odiose al pari di altre (odiose posso dirlo?) è divenuta a tratti un’ossessione, così come le parole «maiale» e «carne di maiale», e come il vino da tavola nei convivi diplomatici, soprattutto come l’abitudine di accondiscendere al galateo di teocrazie dove le condanne e violazioni dei diritti umani sono la norma. Ma io non voglio accondiscendere a un accidente, io odio tutto questo, e voglio combatterlo, perché è la determinazione che può mantenere ferma la mia passione civile. 
Noi occidentali siamo superiori e non «odiamo», va bene, ma ormai ci siamo assuefatti a un certo tasso di esposizione e pericolosità del vivere comune; noi non odiamo, ma ormai scegliamo le vacanze all’estero sulla base degli attentati, e sappiamo che prendere un aereo è diventato un inferno, e che per morire basta frequentare ristoranti o concerti o riviste satiriche, e che ogni spostato mentale può trovare un movente politico nel jihad per ammazzarmi i figli: e non dovrei odiarlo, non dovrei combatterlo con il solo animus che porta a vincere le battaglie. Fatemi capire: noi abbiamo ristretto le libertà politiche e civili per cui i martiri della democrazia hanno lottato per secoli, ma non dovrei odiare chi vuole uccidermi semplicemente perché risultato ne sono io, anche io, persino io, con le mie idee magari stupide, strampalate, ma libere. Avranno il mio odio, eccome.