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 2017  aprile 27 Giovedì calendario

Natura morta con confessionali (ormai vuoti)

In una fredda sera del gennaio 2007 Michael Kenna entra in una chiesa di Reggio Emilia, città dove si trova per allestire una sua mostra antologica, e ne fotografa il confessionale. Comincia così una serie di scatti che coprono quasi un decennio, tutti dedicati a questo mobile, che si trova collocato in tutte le chiese cattoliche, destinato ad accogliere i sacerdoti che amministrano il sacramento della confessione e della penitenza. Ora queste immagini, prevalentemente frontali, compongono un inconsueto libro, Confessionali. Reggio Emilia 2007- 2016 (a cura di Sandro Parmiggiani, Corsiero editore), una sorta di grande regesto delle architetture di legno custodite dentro le grandi architetture di pietra e mattone. I confessionali sono un’istituzione controriformista. Luciano Manicardi, monaco di Bose, ne traccia nel volume una storia dettagliata (“Un paesaggio desolato”) partendo dalla descrizione che ne fornisce Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano nel 1577. Istituendo questo arredo sacro, che connota le chiese cattoliche, il cardinale stabilisce: “tutto di tavole di legno lavorato, o noce o qualsiasi altro tipo”, che devono cingerlo su entrambi i lati e sul retro e coprirlo sulla parte superiore, lasciandolo invece completamente aperto nella parte anteriore, che “non dovrà chiudersi in alcun modo”. Kenna si è posto frontalmente al mobile e con la sua macchina fotografica ha realizzato dei perfetti quadri, quasi delle “nature morte”.
Le immagini di questo grande fotografo di spazi aperti colgono qui qualcosa di claustrofobico, e al tempo stesso se ne distaccano, restano esterne al mobile che manifesta la sua natura di reclusorio, di oggetto altamente misterioso. Kenna è cresciuto in una famiglia cattolica inglese, a Widnes. Ha praticato sin da ragazzo i confessionali inginocchiandosi per incontrare il sacerdote di là della grata. Ha anche studiato in seminario per diventare prete, poi ha lasciato. È diventato fotografo regalandoci delle stupefacenti immagini del mondo intorno a noi, in cui si ha l’impressione che tutto sfugga, tutto sia inafferrabile, effetto delle forze che dominano il pianeta: vento, aria, sabbia, nuvole, terra. In questo libro è come se fissasse qualcosa del proprio passato, qualcosa d’immobile e insieme di distante. I suoi scatti ci rivelano la natura architettonica dei confessionali, la loro imperscrutabile presenza. Sono vuoti e disadorni, eppure sempre eleganti.
Possiedono una simmetria perfetta: la parte sinistra e quella destra appaiono in perfetto equilibrio convergenti verso quel centro, su cui domina la tenda, dietro la quale starà il confessore. Sono architetture vuote, deserte, come reperti di un passato remoto, forme sopravvissute alla inesorabile macina del tempo. Comunicano austerità e insieme perfezione, pur nella leziosità barocca dei decori che si levano nella parte superiore.
Sono sculture, e anche armadi, cassettoni, reliquiari.
Incastonati negli angoli delle chiese, attendono di essere abitati. Tuttavia oggi i confessionali appaiono abbandonati. Non hanno perso il loro fascino di strumenti sacramentali. Sono i luoghi in cui si comunicavano i peccati, come fa notare Kenna nel suo testo. Il fotografo scrive che la religione cattolica ha influenzato il suo modo di fotografare e conclude che quello che gli ha lasciato è proprio il fascino dell’invisibile, da lui cercato attraverso il visibile, dell’intangibile cercato attraverso il tangibile. I suoi confessionali sono l’opposto simmetrico delle sue immagini del mondo esterno: un interno visto dall’esterno.
Custodi muti dei “segreti nascosti e compressi, confessati, scambiati e riversati in cambio di alcune preghiere e della benedizione e del perdono del prete”.