Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  aprile 27 Giovedì calendario

Demme, cinema da Oscar

Ha attraversato il cinema americano da un estremo all’altro, dai film di serie B alle superproduzioni, dai documentari militanti agli Oscar, amato e dimenticato dal mercato, autore raffinato e insieme anonimo artigiano… Jonathan Demme, scomparso ieri a New York per le complicazioni di un cancro all’esofago, è stato tutto questo e molto di più, campione di una generazione di registi (era nato a Long Island, New York, nel 1944) arrivata al cinema quando in molti lo abbandonavano e di cui ha saputo sfruttare e assecondare la rinascita senza accettarne i compromessi.
Critico cinematografico poi pubblicitario per la United Artists, conosce Roger Corman sul set di Il barone rosso (era il 1971) e lo segue nell’avventura della nascente New World, prima come sceneggiatore poi come regista di Femmine in gabbia (1974), tipico film exploitation tra violenze e nudità (in un carcere femminile, una direttrice sessuofobica fa lobotomizzare le detenute ribelli) dove però si riconosce già un certo gusto per il non-sense e il piacere di certe invenzioni visive. Il successivo Crazy Mama fu scritto, preparato e organizzato in dieci giorni (un’«esperienza folle» a detta del regista stesso) ma il critico americano Leonard Maltin non esitò a definirlo «un gioiellino».
Più sicuro dei propri mezzi dopo Fighting Mad, Demme lascia Corman e si confronta con produzioni più impegnative: il giallo di derivazione hitchcockiana Il segno degli Hannah (ma con un finale alle cascate del Niagara che ne rivela l’originalità) e nel 1980 il sorprendente Una volta ho incontrato un miliardario, dove la storia vera dell’incontro tra un ingenuo dalle mani bucate e uno strano vagabondo (che si rivelerà essere il miliardario Howard Hughes) gli offre la possibilità di mettere a punto quelle osservazioni sull’America media e i suoi valori che offriranno linfa vitale a molte delle sue storie.
I problemi con Goldie Hawn durante le riprese di Swing Shift lo spingono a cercare altre strade, filmando un concerto dei Talking Head in Stop Making Sense, il monologo-confessione dell’attore Spalding Gray in Swimming to Cambodia o le contraddizioni della politica in Haiti. Dreams of Democracy. Il ritorno alla finzione avviene prima con il coinvolgente Qualcosa di travolgente (1986), dove il tipico «americano medio» col volto di Jeff Daniels viene trascinato prima dalla farsa al dramma da una scatenata Melanie Griffith, poi con Una vedova allegra… ma non troppo (titolo risibile per Married of the Mob ) dove Michelle Pfeiffer cerca di sottrarsi alla corte ossessiva di un boss della Mafia e infine con Il silenzio degli innocenti (1991), psycho-thriller sul Male e i meandri più oscuri della mente umana, premiato con cinque Oscar: film, regia, sceneggiatura non originale (è tratto da un libro di Thomas Harris), attore e attrice protagonista (l’indimenticabile Anthony Hopkins nel ruolo di Hannibal Lecter e Jodie Foster in quella della poliziotta che gli dà la caccia).
Dopo un documentario sul cugino Robert Castle, prete battista amico delle Pantere Nere ( Mio cugino, il reverendo Bobby ), è la volta di un’altra grande produzione, Philadelphia (1993), ricostruzione di un celebre processo su un malato di Aids che fece conquistare l’Oscar a Tom Hanks e a Bruce Springsteen per la canzone Streets of Philadelphia. Ma il successo lo spinge a provare altre strade: Beloved – L’ombra del passato (’98) con Oprah Winfrey è un’insolita (e non capita) riflessione sull’amore che porta alla morte, The Manchurian Candidate (2004) un abile remake del film di Frankenheimer, Rachel sta per sposarsi (2008), con Anne Hathaway distrugge il mito della famiglia borghese, e intanto coltiva il documentario con The Agronomist sull’opposizione al dittatore «Papa Doc» Duvalier e con Neil Young – Heart of Gold e Enzo Avitabile Music Life su due musicisti apparentemente agli antipodi. Del 2015 è Dove eravamo rimasti, con Meryl Streep cinquantenne cantante rock, appassionato inno alla libertà e alla voglia di non tradire i propri ideali, le qualità che hanno in fondo guidato tutta la sua carriera.