Corriere della Sera, 27 aprile 2017
Dai colloqui di Hamer al cocktail di Di Bella. I danni alla scienza dei venditori di fumo
Al gran mercato italiano della salute ci sono bancarelle che offrono di tutto di più. Prendi il male dei mali: il cancro. C’è chi propone come cura la risoluzione dei conflitti interiori, altri consigliano (e vendono, ovviamente) miscugli di farmaci e chissà che altro, qualcuno punta alla dieta vegetariana, altri ancora curano con il bicarbonato di sodio. E giù di questo passo fino al veleno degli scorpioni azzurri, ai Fiori di Bach, ai beveroni di erbe fresche... Tutto rigorosamente offerto come «alternativo», «non convenzionale», «davvero efficace».
Gli effetti tossici
All’inizio fu Di Bella, professore di fisiologia umana dell’Università di Modena che di nome faceva Luigi e che negli anni Novanta propose al mondo il suo «cocktail» a base di farmaci, ormoni e vitamine per curare i tumori. Garantì che il suo «metodo multitrattamento» avrebbe portato a risultati prodigiosi, invece fu un disastro, come stabilirono le sperimentazioni («nessun miglioramento», «molti decessi», «effetti tossici sui pazienti») che per la prima volta furono autorizzate a furor di popolo, cioè malgrado non ci fossero risultati scientifici a giustificarle.
Quel signore con i capelli bianchi che parlava alla gente del suo «cocktail» portentoso riuscì a imporsi come una sorta di eroe popolare ostacolato dalla scienza ufficiale e dalle istituzioni. Lo sostennero movimenti di piazza, un magistrato arrivò a ordinare la cura di una paziente con il suo metodo e un sondaggio stabilì che l’85% dell’opinione pubblica era con lui. E ancora oggi, dopo le mille conferme della «non validità scientifica della terapia» e dopo la sua morte (nel 2003), ci sono pazienti che chiedono e oncologi che applicano la cura del fisiologo modenese. Per esempio la dottoressa Rita Brandi, oncologa romana che si definisce una dibelliana «ma non con i paraocchi», che giura: «A volte si può guarire» e che dice di poterlo dimostrare «con le cartelle cliniche, perché non ho paura a confrontarmi».
Sono recenti i casi delle tre giovani donne (a Padova, Rimini e Cagliari) ammalate di cancro e morte dopo aver rifiutato la chemioterapia che avrebbe potuto salvarle. Hanno invece preferito i metodi dei medici tedeschi Ryke Geerd Hamer (curare l’aspetto interiore perché l’origine del cancro sarebbe un conflitto non risolto con se stessi o un trauma psicologico) e Max Gerson (curare con la dieta a base di vitamine estratte dalle piante, da accompagnare con clisteri di caffè).
I medici radiati
Il dottor Giuseppe Nacci, medico nucleare a Trieste, è fra i più grandi sostenitori della terapia Gerson, sospeso due volte dalla professione proprio per questo. In una recente intervista al Corriere spiegava che «è provato che esistono migliaia di vitamine capaci di attivare le difese immunitarie contro le cellule tumorali» e che nelle dosi giuste «quelle vitamine inducono l’apoptosi, cioè danno l’ordine di suicidio alle cellule tumorali».
Va ben al di là delle prescrizioni di Hamer, invece, la dottoressa Gabriella Mereu che cerca i conflitti interiori delle persone e le guarisce (a suo dire, naturalmente) con la forza delle sole parole che arrivano «fino all’inconscio». L’ordine dei medici di Cagliari ha deciso di radiarla ma lei si dice «vittima del sistema medico ufficiale», gira l’Italia tenendo conferenze e incontri con centinaia di pazienti che seguono ogni suo consiglio, compreso quello di infilarsi una madonnina nella vagina. «La chemioterapia è ve-le-no» scandisce ogni volta al suo pubblico, favoleggiando di guarigioni miracolose «agendo semplicemente sul terreno psichico».
Incompresi e perseguitati: i medici caduti in disgrazia per aver seguito metodi «alternativi» si definiscono sempre così. Fra loro Tullio Simoncini, radiato 11 anni fa perché curava il tumore con infusioni di bicarbonato di sodio. Anche lui, come gli altri, giura che la sua terapia funziona.