1 luglio 1979
L’ansia collettiva americana, e lo stato di indifferenza italiano
«I giornali americani descrivono da mesi lo stato di ansia collettiva che s’è propagato prima in California, poi a Nuova York e sull’intera costa atlantica, dinanzi alle erratiche apparizioni della carestia petrolifera: “Molti — segnala Robert Sincr sulla Herald Tribune — non dormono più, angosciati dal pensiero di prender posto in fila davanti a un distributore. Molti non si muovono più, timorosi di non poter tornare a casa. Altri fumano di più, bevono di più, mangiano di più ... ”. Le cronache segnalano anche fenomeni di tensione violenta, come i casi estremi di “pazzia da impedimento”: i duelli a mano annata fra le pompe di Brooklyn, la sommossa di Levittown in Pennsylvania.
[...] La prospettiva è specialmente grave per un’economia di trasformazione come quella dell’Italia, la quale non produce come gli Stati Uniti oltre metà del greggio che consuma, né ha costruito o costruisce centrali nucleari in proporzione, ma nello stesso tempo non compensa l’importazione di petrolio (tremila miliardi in più nel 1979 dopo le decisioni dell’OPEC a Ginevra) con esportazioni paragonabili a quelle dell’industria di trasformazione giapponese o tedesca. Qui dunque si presenta il caso d’una società povera di risorse naturali e tecnologiche, la quale accresce tuttora il consumo di combustibili al ritmo del 10 per cento l’anno e compete nello sperpero con le società ricche, mentre i governanti somigliano sempre più a quei capi tribù del regno di Melchiorre, studiati dall’antropologo Lienhardt, che invitati a operare e decidere “accampavano scuse e parlavano d’altro, come se fosse stato detto qualcosa d’indecente”» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)