20 maggio 1979
L’origine della crisi: l’Iran, gli organizzatori arabi della penuria e i massimizzatori di profitto delle compagnie petrolifere
Dopo l’embargo petrolifero del ’73 e l’avvento della petrolcrazia con la quadruplicazione del «posted price», la nuova crisi è dovuta a due circostanze. Anzitutto l’Iran islamista, per decreto di Khomeini, ha sottratto agli scambi 2 milioni di barili al giorno, il 4 per cento delle forniture nel mondo. Inoltre i governanti islamici dell’Arabia Saudita, dopo l’arbitrato di Carter per la «pace separata» fra Egitto e Israele, non manifestano alcuna propensione a colmare il vuoto e «dilapidare la propria ricchezza al ritmo delle esigenze occidentali». Il deficit del 4 per cento non sarebbe molto in sé, ma come sempre, secondo il detto arabo, «è l’ultimo filo di paglia che spezza la schiena del cammello». Infatti è abbastanza per innescare una spirale di azioni e reazioni (aumento del prezzo, accumulazione speculativa delle scorte che prevede o provoca nuovi aumenti ecc.), dilatando il divario tra domanda e offerta fino al 20 o 30 per cento. Nella spirale perversa congiurano insieme quegli «organizzatori della penuria» che sono i venditori del cartello OPEC e i massimizzatori di profitto delle compagnie petrolifere, i governi irresoluti o maldestri e i consumatori inesausti. Almeno gli Stati Uniti sono ricchi di carbone, non devono importare tutto il petrolio che consumano, posseggono risorse come l’immenso «surplus» dei cereali e potranno ricordare ai governi dell’OPEC che sia il petrolio sia il grano si misurano a barili. Per le economie di semplice trasformazione, le prospettive sono peggiori. «Gli esperti sembrano unanimi, non siamo che agli inizi della grande penuria», annuncia a Parigi il Nouvel Observateur. E in condizioni di scarsità, altri incidenti sono possibili dopo la vicenda dell’Iran (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)