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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

Rivincita lego, mattoncino immortale

Billund ospita 6 mila abitanti e si trova in mezzo alle campagne del Sud della Danimarca. È la città della Lego: nel 1934, quando nacque la fabbrica, ci vivevano 300 persone. Ora c’è il secondo aeroporto del Paese e la fabbrica principale dei mattoncini: ne vengono prodotti il 40% del totale mondiale, che nel 2016 è ammontato a 75 miliardi di pezzi. Dentro c’è un lieve odore di plastica bruciata: è la conseguenza del lavoro delle 64 stampanti che producono i pezzi di Lego, per un totale di circa 100 milioni di mattoncini al giorno. Con due soli addetti, il resto è automatizzato. 
Ma il personale «perso» per strada nella produzione viene reimpiegato in altri comparti, nel parco Legoland, nella Casa delle Idee dei designer e nella Lego House, il futuro quartier generale pronto a settembre e che sembrerà una costruzione fatta di mattoncini.
«Lego non lascia nessuno a casa, non più», ci racconta Bali Padda, manager di origine indiana che lo scorso gennaio ha assunto il ruolo di amministratore delegato. Il «non più» si riferisce ai licenziamenti di inizio secolo, quando la multinazionale era sull’orlo di fallire. 
La cura di Jorgen Vig Knudstrop, il ceo che l’ha preceduto, portò l’azienda a fare nuovamente profitti nel giro di un anno, tra il 2004 e il 2005, fino ad arrivare nel 2015 a essere riconosciuta come «il marchio più forte» al mondo. «Siamo riusciti a ribadire il nostro ruolo in un’epoca digitale», prosegue Padda, primo ceo non danese del gruppo, «una cosa che stupisce voi giornalisti e alla quale non avevo mai pensato». Perché, ci spiega, l’importante è essere «Lego». 
Una filosofia non di facciata, che è la vera forza propulsiva dei mattoncini: il motto del fondatore Ole Kirk Christiansen «det bedste er ikke for godt», si può tradurre «il meglio non è ancora abbastanza». «Parliamo di prodotti per bambini, e solo mettendoci tutti noi stessi possiamo pensare di fare qualcosa che possa andare bene per loro»: la missione è quella di forgiare i costruttori di domani. «Per questo i videogiochi non sono sufficienti: è solo con la manipolazione che si possono sviluppare le vere abilità dei bambini». E per farlo bisogna giocare.
Bali Padda si illumina, mentre assembla sovrapensiero due pezzi di Lego che ha in mano: «Il gioco è una componente fondamentale dell’uomo, per quanto ci evolviamo non bisogna dimenticarlo». In ogni angolo delle strutture dell’azienda si trovano grandi vasi trasparenti pieni di pezzi di Lego: «Li usiamo durante le riunioni, per pensare». 
E forse anche per combattere lo stress, anche se questa piccola parte di Danimarca ne sembra immune. O, almeno, lo è da quando l’azienda ha ripreso a navigare a gonfie vele: il 2016 si è chiuso con un fatturato di 5,38 miliardi di dollari, il record negli 85 anni di storia, per un profitto netto pari a 1,34 miliardi. 
Numeri che sono frutto di una strategia moderna sul mercato, fatta di utilizzo di licenze forti – da Batman a Star Wars – e della capacità di estendere il gioco oltre il limite fisico dei mattoncini. «Siamo di fronte a una differente generazione di bambini, nativi digitali che hanno esigenze inedite». E così sono nati gli «ibridi» Dimensions e Nexo Knights, oltre al kit Lego Boost, in arrivo nel secondo semestre dell’anno. 
Il nuovo corso di Lego richiede anche maggiori capacità produttive e agilità sui mercati. Da qui l’apertura della fabbrica in Cina, la quarta extra Danimarca, fortemente voluta da Padda. Un amministratore delegato che, non a caso, viene dalla catena di distribuzione. «Ma il cuore della produzione resterà sempre qui a Billund, così da assicurarci gli standard massimi di qualità, poi da esportare nelle altre fabbriche». Perché il meglio non è ancora abbastanza.