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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

La banchiera di Pechino

Una figura asciutta, nel fisico e nelle dichiarazioni. Una super manager statale di 58 anni che in carriera ha vigilato su qualche trilione di dollari di riserve dell’Istituto centrale e ora è presidente della «ExportImport Bank of China», istituto finanziario di Pechino che risponde direttamente al governo e annuncia come «Visione» nel suo statuto: «Promuovere la costruzione di un mondo armonioso e diventare la banca di cooperazione internazionale più influente». 
La biografia ufficiale di Hu Xiaolian si ferma qui, perché la signora arrivata nella capitale dalla provincia dello Hubei a inizio degli anni Ottanta, non ha fatto sapere in pubblico nemmeno se abbia o meno una famiglia. Anche la scheda della «Federazione delle donne di tutta la Cina» la definisce alla prima riga: «Una funzionaria relativamente misteriosa». 
Riservata e potente. È stata vicegovernatrice della People’s Bank of China, la Banca centrale, dal 2005 al 2015, e per quattro anni anche amministratrice della State Administration of Foreign Exchange (Safe), nota per avere in cassaforte tremila miliardi di dollari: le riserve in valuta della seconda potenza economica mondiale. Quando Hu Xiaolian si insediò al vertice della Safe, nel 2005, la Cina aveva riserve per circa 800 miliardi di dollari; quando la lasciò, nel 2009, erano triplicate a 2.400 miliardi. Si sono accumulati negli anni d’oro delle esportazioni della Cina Fabbrica del Mondo. 
Nel turno di guardia 
La signora era al timone nei mesi drammatici in cui scoppiò la grande crisi finanziaria del 2008 con il fallimento della banca americana Lehman Brother’s e si dice che Hu organizzò alla Safe una copertura 24 ore su 24 per poter controllare i movimenti del mercato globale: per dare il buon esempio anche lei partecipò ai turni di guardia, dormendo su una branda in ufficio. 
Quella della signora è un po’ la storia dell’ascesa della Cina. Programmata per arrivare lontano. Hu fu selezionata dopo la laurea, nel 1982, per il primo master in economia tenuto dalla Banca centrale presso la prestigiosa università Tsinghua; ne uscì nel 1984, subito arruolata dal Bureau valuta estera. Da allora ha sempre avuto responsabilità che l’hanno portata a guardare oltre i confini dell’impero. Parla l’inglese in modo articolato e la sua frase pubblica più celebre (una delle pochissime) è del 2010. Improvvisamente, in una giornata di fine agosto, si diffusero voci destabilizzanti su una fuga all’estero del governatore centrale Zhou Xiaochuan. Mentre i mercati ondeggiavano, comparve Hu: «Scappato? Ha appena presieduto una riunione alla quale ero presente». Hu Xiaolian è passata alla ExportImport Bank of China nel 2015. Si tratta di una banca poco conosciuta ma strategica nel sistema di potere di Pechino: si concentra sul credito all’importexport e prestiti per investimenti all’estero e contratti offshore. 
Grandi opere 
È anche Segretario del Partito nella Banca: significa molto in termini di potere, perché l’Istituto fa scelte politiche in un Paese nel quale l’interesse dello Stato e del Partito debbono coincidere. «Una banca come questa ha la funzione di facilitare il credito soprattutto per le imprese cinesi che vanno a lavorare all’estero, con una garanzia governativa», spiega a «L’Economia» Sergio Bertasi, presidente della Camera di commercio italiana in Cina e responsabile di Intesa Sanpaolo a Pechino. 
Ora, molti dei dossier che passano sul tavolo della presidente Hu riguardano i finanziamenti per il progetto «Una Cintura Una Strada», le due nuove Vie della Seta di terra e di mare che Pechino ha proposto di far correre lungo l’Asia, l’Africa e l’Europa. Un gigantesco progetto di infrastrutture per rilanciare l’industria cinese (e magari la globalizzazione). 
In mandarino Una Cintura Una Strada si dice «Yi Dai Yi Lu» e la frase qui è diventata ormai sinonimo di «Apriti Sesamo» per ottenere appoggio politico e fondi statali. Già a fine 2015 la policy bank di Pechino aveva prestato 79 miliardi di dollari per progetti lungo la Via della Seta, circa il 37 per cento della sua esposizione all’estero. C’è anche un accordo quadro di cooperazione tra ExportImport Bank of China e Intesa Sanpaolo per facilitare imprese italiane ed è possibile che qualche iniziativa si possa concretizzare nel breve periodo. 
I mille impegni 
Il mese scorso, guidato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il «Sistema Italia» è stato in Cina per presentare la Penisola come «grande molo europeo sulla Via marittima della Seta», con i suoi porti di Venezia, Trieste, Genova e Vado Ligure. 
Ultimamente, Madame Hu è stata segnalata tra Etiopia, Kenya e Zimbawe dove ha staccato assegni per infrastrutture; il Kyrgyzstan deve alla ExportImport Bank of China qualche cosa come il 20% del proprio Pil annuale; Tajikistan e Uzbekistan hanno ricevuto i fondi per costruire un grande corridoio stradale. In totale la banca di Pechino partecipa al momento ad almeno mille progetti in 49 Paesi lungo la Via della Seta: si tratta di strade, ferrovie, porti, centrali energetiche, parchi industriali. E poi c’è un intervento che non sarà passato inosservato al presidente Trump. 
Più veloce degli Usa 
Nelle Filippine stanno per cominciare i lavori di una centrale solare, contratto assegnato alla FirmGreen Inc americana. Che però, per trovare le garanzie per il prestito necessario, non ricevendo una risposta rapida a Washington (la burocrazia lenta c’è anche lì) si è rivolta alla ExportImport Bank di Pechino. Unica condizione posta dalla signora Hu: le attrezzature per la centrale dovranno essere prodotte in Cina. Riservata e veloce nell’azione. 
Ecco perché Hu Xiaolian è stata inserita dal Financial Times tra le cinque donne più influenti nel business globalizzato. Serve il popolo e gli obiettivi del PartitoStato.