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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

Se Trump ignora gli alleati

La leadership americana è sempre stata imperiale. Il Paese è troppo convinto della propria eccezionalità storica, politica e spirituale, per non considerarsi incommensurabilmente superiore ai suoi partner e alleati. Ma gli Stati Uniti hanno quasi sempre cercato di comprenderne le esigenze e di non ferirne l’orgoglio. Il caso Italia è particolarmente interessante. La signora Clare Booth Luce, ambasciatrice a Roma dal 1953 al 1956, vedeva comunisti ovunque, anche nel Partito socialista, e temeva che la Dc non desse prova della necessaria fermezza.
M a la presidenza Kennedy adottò una nuova linea e finì per assecondare l’apertura a sinistra di Amintore Fanfani e Aldo Moro; mentre le compagnie petrolifere americane finirono per inghiottire il rospo delle iniziative di Mattei in Iran e in Unione Sovietica. Quando la Fiat concluse un accordo con Mosca per la costruzione di una fabbrica d’automobili in una città che si sarebbe chiamata Togliattigrad, Vittorio Valletta, amministratore delegato della azienda torinese, fece una visita alla Casa Bianca e riuscì a tranquillizzare la presidenza degli Stati Uniti. Vi fu una sorta di veto americano, all’epoca della presidenza Carter, quando il compromesso storico sembrò prevedere l’ingresso del Partito comunista italiano nei governi di solidarietà nazionale. Ma il clima cambiò quando l’ambasciata degli Stati Uniti, nei mesi seguenti, cominciò a favorire i viaggi americani di alcuni esponenti del Pci.
In un più largo contesto gli americani, da Kissinger in poi, non hanno guardato all’unità dell’Europa con particolare simpatia. Ma capivano che un atteggiamento più dichiaratamente ostile avrebbe incrinato la solidità dell’Alleanza. Alla Nato gli Stati Uniti non hanno mai smesso di lamentare l’insufficienza del contributo finanziario europeo. Ma in ultima analisi, dopo le inevitabili proteste, comprendevano che le maggiori somme fornite da Washington erano il prezzo della leadership americana.
Esisteva poi tra l’America e l’Europa una più generale sintonia. Le due grandi aree sono state in molti casi protezioniste, ma la dottrina ufficiale di entrambe era il liberoscambismo. Hanno commesso molti peccati ambientali, ma anche in questo caso la dottrina ufficiale, soprattutto durante la presidenza di Barack Obama, era sulle due sponde dell’Atlantico l’ambientalismo. Credevamo tutti, anche se con qualche ipocrisia, a uno Stato in cui il numero dei diritti tutelati sarebbe diventato sempre più grande.
Oggi la situazione è alquanto diversa. Il nuovo presidente degli Stati Uniti parla un altro linguaggio. Al libero scambio preferisce gli accordi bilaterali, duramente negoziati sulla base dei rapporti di forza e di convenienza. Alla difesa dell’ambiente antepone esplicitamente la protezione delle vecchie industrie, anche se irrimediabilmente inquinanti. Alla difesa dei diritti universali preferisce la grandezza degli Stati Uniti. Anziché essere un patto concluso sulla base di interessi comuni, la Nato, per la nuova Casa Bianca, è una polizza in cui il grado di protezione garantito dall’assicuratore dipende dal livello del premio pagato dall’assicurato. E i membri dell’Unione Europea, a giudicare dai sentimenti di Trump per la Brexit, dovrebbero rompere i patti comuni e andare ciascuno per la propria strada.
È difficile immaginare che i Paesi dell’Ue, a cui preme veramente l’unità dell’Europa in un mondo meno conflittuale e litigioso, possano continuare ad accettare questa nuova leadership americana. Se le celebrazioni per il 60° anniversario dei Trattati di Roma non sono soltanto cerimoniose liturgie, questo dovrebbe essere il primo tema delle loro riflessioni nei prossimi mesi.