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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

Il potere dei 17 re di Roma

La politica balbetta. Gli imprenditori ammutoliscono. E quel poco che resta della classe dirigente romana si rassegna. Non fosse per il Papa, il trasferimento di Sky dalla capitale a Milano con il suo doloroso strascico di esuberi sarebbe già passato come l’acqua fresca, al netto di qualche ora di sciopero. Le parole spese da Francesco all’Angelus del 15 marzo a favore dei lavoratori della tv cacciata da via Salaria rimbombano come una scomunica. Ma più di questo il Papa non può fare per curare il virus che attanaglia la città. Adesso se ne va Sky e per i sindacati si prepara all’emigrazione anche l’Eni. Potesse decidere in autonomia, la Federtennis sposterebbe a Milano gli Internazionali d’Italia. Soltanto Francesco resiste. Per il papa, del resto, il tempo dei traslochi al Nord è ormai chiuso da 640 anni, quando Gregorio XI tornò da Avignone.

Ecco Jeeg Robot
Ormai è il suo l’unico potere forte rimasto a Roma nel periodo più buio nel secondo dopoguerra. Le industrie chiudono e il terziario soffre. La qualità del lavoro deperisce sempre più. Persino il turismo è in affanno. La corruzione è molecolare, la politica in disfacimento. I servizi pubblici sono al collasso e l’amministrazione paralizzata. La classe dirigente non è mai stata tanto fragile e modesta. Non c’è quindi da stupirsi per gli attivisti che hanno inalberato davanti agli uffici finanziari uno striscione con su scritto: «Jeeg Robot chiude Equitalia». Perché pure Roma, come Gotham City, avrebbe bisogno di un supereroe. E siccome con il Batman di Anagni, alias Franco Fiorito, abbiamo già avuto una brutta esperienza, meglio il robot d’acciaio dei cartoni giapponesi. Lo stesso che il regista Gabriele Mainetti, nel più bel film sulla Roma delle periferie e dei diseredati girato negli ultimi anni, ha trasformato in un Supereroe in carne e ossa. Caso vuole che quella pellicola sia stata prodotta anche con i soldi di Sorgente sgr, la società finanziaria che fa capo a Valter Mainetti, papà di Gabriele. I suoi fondi immobiliari hanno in portafoglio il Flatiron Building a New York, dove già controllavano una quota del grattacielo Chrysler ceduta nel 2008 per 800 milioni di dollari. E poi castelli francesi, la Galleria Sordi e la Rinascente di piazza Fiume a Roma e immobili sparsi per il mondo, dalla California alla Svizzera passando per Milano e Cortina d’Ampezzo. Ma siccome la storia insegna che nella capitale non si sale davvero sulla rampa senza la stampa (gli Angelucci delle cliniche non hanno forse Libero e Il Tempo ?) ecco che un annetto fa, insieme a Matteo Arpe, Mainetti compra con la sua Musa Comunicazione, dove ci sono dentro anche i figli Gabriele e Veronica, il Foglio e arriva a controllare il 95%. Forse è presto per dire se Mainetti sia in grado di lanciare la sfida a chi nella capitale continua a dare le carte da un decennio almeno. Ma di sicuro, in una città dove i soldi si sono fatti sempre con il mattone fin dalla breccia di Porta Pia, non è certo questo il nuovo che avanza. Anche per una questione anagrafica. Perché se Mainetti ha quasi 70 anni, Francesco Gaetano Caltagirone ne ha compiuti 74. E per scalzarlo ce ne vorrà. Padrone del Messaggero, il principale quotidiano della capitale. Padrone della Vianini Lavori, che con il consorzio Metro C sta costruendo la più grande (e discussa) opera pubblica del Paese. Padrone ancora di una quota dell’Acea, la società del Campidoglio che distribuisce luce, acqua e gas ai romani. Nonché l’unico che ancora riesca a fare affari con le case nonostante la crisi delle palazzine.
Gli industriali
Dietro di lui, il deserto. I costruttori sono in ambasce al pari degli immobiliaristi. Personaggi del calibro di Sergio Scarpellini sono caduti dal piedistallo, provati dalle inchieste giudiziarie o dai capitomboli finanziari. L’Unione industriali ha qualche livido, con la Confindustria ammaccata. Aurelio Regina aveva provato a scalarne la vetta, ma ha perso. Mantiene un piede nel sistema di potere con la società di cacciatori di teste Egon Zehnder, della quale è partner. Però le nomine pubbliche, com’è noto, seguono regole spesso indipendenti dalle competenze professionali. Si potrà dire che se qualcuno fugge da Roma, qui restano ancora le grandi aziende. C’è l’Acea, la maggiore municipalizzata del Paese. La Rai, centro di grande potere (e spesa). Quindi Leonardo Finmeccanica, Enel, Eni. Telecom va perfino in controtendenza: l’amministratore delegato Flavio Cattaneo sposta funzioni importanti da Milano a Roma. Ma molte di queste aziende hanno un baricentro ormai lontano. E un ponte di comando tutt’altro che romano, con l’eccezione del capo dell’Enel Francesco Starace. il candidato per l’Acea Stefano Donnarumma viene dalla lombarda A2A. La presidente della Rai Monica Maggioni è milanese, come Cattaneo e il capo dell’Eni Claudio Descalzi. Alessandro Profumo è invece un genovese a Finmeccanica.
I banchieri

La crisi dell’edilizia ha piegato anche l’associazione dei costruttori, una volta potente. Per non parlare delle banche, ingolfate di sofferenze e milioni di metri cubi degli immobiliaristi inadempienti. La Banca di Roma è stata ingoiata da Unicredit e Cesare Geronzi si gode un esilio dorato. Invece la Bnl è finita ai francesi, che per paradosso sembrano i soli a credere in una prospettiva di sviluppo con la nuova grande sede al Tiburtino. Da quasi 19 anni, quando era ancora in vita il primo governo di Romano Prodi, quella banca è presieduta da Luigi Abete, per cui qualcuno aveva preconizzato un futuro in politica. Magari come sindaco di Roma. Anche lui ha settant’anni e quella prospettiva, se mai esistita, è oggettivamente in archivio da un pezzo.

Il vice Virginia
Sulla poltrona del sindaco siede da nove mesi una donna di 38 anni eletta con il 67% dei voti al ballottaggio del 19 giugno. Ma la verità è che Virginia Raggi si è finora mostrata non del tutto adeguata alla complessità del ruolo, e sul Comune di Roma ha oggi nei fatti solo poteri di ordinaria amministrazione e di rappresentanza. E forse nemmeno tutti. Provata dalle vicissitudini dei primi mesi, si tiene sempre più in disparte. Nel periodo politicamente più complicato è andata in settimana bianca all’Alpe di Siusi. Disertando nel giro di pochi giorni due impegni istituzionali importanti per il sindaco di Roma, quali le celebrazioni dell’Unità d’Italia e la ricorrenza dell’eccidio nazista alle Fosse Ardeatine. Al suo posto, con la fascia tricolore, il vicesindaco Luca Bergamo, uno che viene dalla sinistra: se c’è qualcuno che oggi nella giunta Raggi conta qualcosa, eccolo. Sempre, però, considerando le limitazioni di un governo cittadino dall’autonomia assai discutibile. Con un’opposizione inconsistente. Tumefatto da Mafia capitale, il Pd romano è alla frutta. Il tribunale, per giunta, ha demolito la riorganizzazione del commissario Matteo Orfini. Mentre il presidente della Regione Nicola Zingaretti, che oggi sarebbe sindaco se nel 2013 non avesse cambiato strada, si tiene ben lontano dalle rogne del Comune.
La diaspora Pd

La verità è che tutto quel mondo capace a lungo di condizionare la vita della città è ormai sfarinato, privo di identità. Goffredo Bettini è a Strasburgo. Walter Veltroni fa il cineasta. Francesco Rutelli aveva tentato di indossare i panni del padre nobile ma nessuno l’ha preso sul serio. Paolo Gentiloni, che aveva sfidato Ignazio Marino nel 2013 alle primarie per conquistare il Campidoglio, è ora presidente del Consiglio e potrebbe far pesare quel non trascurabile dettaglio, ma è evidentemente assorbito da ben altri problemi. Il presidente del Coni Giovanni Malagò si sarebbe invece volentieri dedicato alla città per le Olimpia di del 2024, se non fosse stato respinto con perdite dal niet di Raggi & co. La forza d’interdizione del partito nel consiglio comunale, dove per la prima volta nella storia una sola lista controlla la maggioranza dell’assemblea, è quasi irrilevante. Il gruppo democratico è guidato dalla pasionaria Michela Di Biase, infilzata dai grillini con una velenosa interrogazione parlamentare a suo marito, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Per sapere, chiedono, come mai «la signora Michela Di Biase» avrebbe avuto un incarico per le relazioni esterne presso la Fondazione Sorgente group di Valter Mainetti. Proprio lui.
Totti&Baldissoni

Ma gli stracci volano anche nella maggioranza, dove la frattura fra i sostenitori di Virginia Raggi e gli oppositori che si riconoscono in Roberta Lombardi resta aperta. Il risultato è che le decisioni strategiche vengono tutte prese dal Garante del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo da Genova. Lui nomina gli assessori importanti, come il responsabile delle partecipate Massimo Colomban, e le figure chiave dell’amministrazione, qual è il direttore del Comune Franco Giampaoletti, catapultato da Genova. E lui indica le scelte strategiche. Lo stadio della Roma Calcio, per esempio: l’investimento immobiliare che potrebbe rimettere a posto le cose a casa dei costruttori Parnasi (storici avversari di Caltagirone) e del club giallorosso. Il tessitore dell’operazione si chiama Mauro Baldissoni. I tifosi sono pronti a incoronarlo come il nono Re di Roma. Il posto dell’ottavo è già occupato da tal Francesco Totti, colui che incarna il vero potere della città. Lo stesso fin dai tempi di Nerone. E ancora oggi non c’è politico, imprenditore o perfino Papa che tenga.