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 2017  marzo 24 Venerdì calendario

La mucca e il grillo

Può darsi che le parole di Pier Luigi Bersani – meglio dialogare con i 5Stelle che con B., Verdini e Alfano – siano la classica rondine che non fa primavera, anche se arrivano con l’equinozio. Può darsi che le prossime elezioni le vincano il centrosinistra o il centrodestra con la legge elettorale anti-5Stelle che i loro fattucchieri stanno architettando nelle viscere del vulcano tra alambicchi e serpentine, e che dunque il problema del “che fare” con un eventuale incarico a Di Maio a caccia di voti per il suo governo di minoranza non si ponga mai. O può darsi che i 5Stelle arrivino primi, ma rifiutino di guardare tanto a destra quanto a sinistra, rinserrati nel solito isolamento dorato e passando la mano al secondo classificato per lucrare sull’inciucione Renzi-B. (“contro i populisti” ahah ahah), già pronto da tempo. Ma ogni tanto la politica riserva sorprese. Dunque è anche possibile che i 5Stelle arrivino primi, ricevano l’incarico di formare il governo (Mattarella potrebbe persino spettinarsi) e inizino a guardarsi intorno alla ricerca dei seggi mancanti per la fiducia. Oggi dicono che presenteranno la squadra e il programma, poi chi ci sta ci sta. Ma è solo propaganda. Intanto c’è il precedente di Napolitano che nel 1993, proprio con Bersani segretario Pd, gli conferì un mandato soltanto “esplorativo”: per l’incarico pieno pretese la lista dei deputati e senatori che gli avrebbero votato la fiducia, lista che – come lui sperava – non arrivò mai.
Infatti Bersani non voleva governare con i 5Stelle, sennò avrebbe tentato di concordare con loro il programma e i ministri oltre al nome del premier (il suo Pd aveva preso gli stessi voti del M5S). Chiedeva semplicemente ai 5Stelle una fiducia tecnica “per cominciare” o una non-sfiducia modello Andreotti con un certo numero di astensioni e/o di uscire dall’aula del Senato per abbassare il quorum di maggioranza. Proposta indecente e infatti respinta. La scena si ripeterebbe tale e quale dopo l’eventuale incarico a Di Maio. Il quale, se i 5Stelle prendessero più voti di tutti, dovrebbe concordare prima con qualcuno degli altri partiti, se non la lista dei ministri, almeno il programma. Ed è evidente che dovrebbe scegliere se farlo con la nuova sinistra (sempreché Mdp, SI, Possibile e Pisapia si mettano insieme) o con la nuova destra di Salvini & Meloni. Sempreché, si capisce, sia la nuova sinistra sia la nuova destra fossero disponibili a parlare con lui. Salvini ha già detto di sì, ma Grillo ha sempre rifiutato qualsiasi contatto: sia perché la Lega è una diretta concorrente, sia perché i punti in comune sono molto più scarsi di quel che si racconta in giro.
Bersani dice a sua volta di sì, ma non è detto che la sua idea sui 5Stelle “argine al populismo e alla destra”, “centristi arrabbiati con cui la sinistra deve dialogare”, sia condivisa da Pisapia & C. Il reddito di cittadinanza, che per i 5Stelle è molto più centrale delle scelte sull’Europa e sull’euro, anche perché riguarda la vita di milioni di persone, è un’idea tipica delle sinistre tradizionali, che però hanno tradito la loro missione spalancando praterie a Grillo. Quanto all’immigrazione, i 5Stelle non dicono nulla di diverso da quel che han detto (e purtroppo non fatto) i governi Pd: accogliere i rifugiati e respingere gli irregolari, cioè rispettare la legge. Basta poi guardare i sondaggi e le consultazioni sul blog, dalle Quirinarie (Gabanelli, Strada, Rodotà, Zagrebelsky, Caselli, Fo, Prodi…) al voto sul reato di clandestinità (da abolire), per comprendere che la base grillina è molto più vicina ai valori della sinistra tradita (ambientalismo, lotta alle mafie e alla corruzione, legalità, beni comuni, protezione sociale, pacifismo) che a quelli della nuova destra. La stessa sindaca Raggi, accusata di essere “di destra”, ha sempre votato dall’altra parte e ha formato a Roma la giunta più di sinistra che si sia mai vista negli ultimi 20 anni in una metropoli d’Italia.
Non solo: anche nella prossima legislatura, la gran parte dei parlamentari 5Stelle verranno dal loro bacino elettorale più nutrito: quello del Centro-Sud. Chiedere i voti (determinanti) alla Lega per governare significherebbe guadagnare qualche decina di seggi esterni, ma perderne almeno altrettanti interni. Senza contare gli elettori che fuggirebbero inorriditi alla vista del duo Di Maio-Salvini. Invece il Bersani 2.0, non più blairiano, liberalizzatore, vicino alle banche e alle grandi imprese, ma riconvertito alle nuove esigenze dei ceti rasi al suolo dalla crisi (la famosa mucca nel corridoio che bussa alla porta), sarebbe senz’altro meno detestato dalla base pentastellata. Anche perché rappresenterebbe una forza politica molto più piccola e meno concorrenziale e minacciosa. Ma il problema è proprio questo: quanto piccola? Se la nuova sinistra non troverà presto un leader e una fisionomia accattivanti, supererebbe forse lo sbarramento del 3% alla Camera, ma non quello dell’8 al Senato. Dunque, anche se il dialogo col M5S andasse in porto, i suoi voti non basterebbero a fare maggioranza. In ogni caso, tutti questi “se” e “ma” lasceranno il tempo che trovano fino alla sera delle elezioni: prima, nessuno avrà interesse a scoprire le carte per non regalare voti agli avversari. Una cosa però, se davvero fossero interessati almeno a provarci, i 5Stelle e la nuova sinistra potrebbero fare subito, di qui alle elezioni: scrivere programmi seri, realistici e almeno in parte compatibili. E smussare le rispettive proposte dalle punte più impraticabili, velleitarie e ideologiche. Quando, prima del voto, si parla chiaro agli elettori, promettendo poche cose realizzabili e innovative con un approccio laico e pragmatico, c’è pure il caso che, dopo il voto, gli avversari più vicini o meno lontani riescano a comunicare. Persino la mucca e il grillo.