Libero, 20 marzo 2017
«Chi è venuto dopo Monti ha fatto peggio. Soldi e lavoro? Si possono trovare così». Intervista a Corrado Passera
Siamo entrati nella settimana delle celebrazioni per i 60 anni dalla firma del Trattato di Roma, caposaldo dell’Unione Europea: ma c’è davvero da festeggiare?
«Sarebbe meglio cogliere l’occasione per iniziare finalmente un serio esame di coscienza, altrimenti si rischia di celebrare un funerale. Il disfacimento della Ue, da evitare assolutamente, è una eventualità possibile».
Perché la Ue è entrata in crisi?
«Ha sbagliato la risposta alla crisi: austerità e burocrazia anziché sviluppo e inclusione, pur nel giusto rispetto delle regole. Questa è stata la conseguenza della grave inadeguatezza delle leadership europee, che è il vero problema. Poi ci sono i difetti strutturali, dovuti a un allargamento eccessivo, che ha messo insieme situazioni troppo eterogenee, e a un processo decisionale paralizzante, che richiede l’unanimità su troppi temi importanti e porta sempre a compromessi al ribasso. Dobbiamo prendere atto che ci sono volontà molto diverse sul futuro dell’Unione».
Gli italiani erano i più europeisti, ora lo sono meno di tutti: hanno ragione?
«L’Unione ha aiutato gli euroscettici, perché dà la sensazione di costare senza dare benefici, ma la verità è un’altra: nei momenti di bassa leadership, come quello che stiamo vivendo in Italia, si cercano nemici sui quali scaricare la colpa dei problemi che non si riesce unitariamente a risolvere».
Adesso sarebbe tutta colpa nostra?
«Siamo obiettivi: i nostri problemi di fondo, giustizia, burocrazia, scuola che non prepara, debito pubblico, hanno poco a che fare con l’Europa, che invece ci consente di avere tassi bassi. La nostra bassa produttività non è colpa di Bruxelles ed è illusorio pensare che si risolva svalutando, perché prima di esportare per produrre noi importiamo. E poi la svalutazione distrugge i risparmi, va addosso ai pensionati e a chi ha i mutui da pagare».
Ma è innegabile che in Europa, malgrado l’Italia sia il terzo contribuente, veniamo trattati come i figli della serva...
«Dovremmo cominciare a fare come i tedeschi o i francesi, o gli spagnoli e tanti altri che hanno costruito presenze fortissime in qualità e quantità nelle istituzioni europee e hanno creato una classe dirigente comunitaria di alto profilo che curano con attenzione. Anziché lamentarci, cominciamo a usare i Fondi Strutturali Europei come sanno fare gli altri».
È ammissibile che siamo vincolati ai parametri di Maastricht, siglati prima dell’euro, da gente che non è più al mondo?
«Maastricht ha fatto il suo tempo e i parametri si possono rivedere mettendo fuori dal 3% per esempio gli investimenti in infrastrutture e quelli per porre in sicurezza il territorio. Ma per pretendere cambiamenti importanti dobbiamo ricostriure una credibilità che negli ultimi anni si è molto indebolita. Poniamo concretamente il problema della crescita senza la quale non si crea occupazione e lavoriamo all’idea di destinare almeno un trilione di eurobond a un programma di investimenti in innovazione e formazione per prepararci alla quarta rivoluzione industriale».
Quarta rivoluzione industriale: l’unica certezza è che caleranno i posti di lavoro.
«Ma molti settori cresceranno enormemente e noi dobbiamo entrarci: dalla genomica alla robotica, dalla cyber-security all’internet delle cose. Cresceranno settori dove possiamo essere leader mondiali: salute, turismo, industrie creative. Il mondo del lavoro verrà rivoluzionato e quindi deve essere ridisegnato il sistema educativo: l’età prescolare farà la differenza nello sviluppo delle capacità e la formazione dovrà durare tutta la vita per non essere espulsi».
Se il problema dell’Italia è l’Italia suggerisca cinque soluzioni per salvarci?
«Attenzione: le ricette dei 100 giorni sono quelle che ci hanno portato fino a questo punto cosí basso. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi».
Ma anche lei ha fatto i punti quando voleva entrare in politica...
«Se riprendiamo in mano il mio progetto Paese di cui parlo nel libro “Io Siamo” ci troviamo un disegno complessivo e ambizioso che individua due priorità che valgono ancora oggi: creare lavoro e combattere il disagio sociale. Bisogna favorire in ogni modo gli investimenti privati e pubblici: spingere i provvedimenti di Industria 4.0, accelerare tutti i progetti infrastrutturali approvati e finanziati negli scorsi anni da ministro ne avevo fatto passare al Cipe per 50 miliardi e concentrare i fondi strutturali su selezionate iniziative strategiche: le ferrovie prima di tutto, anche per collegare il nostro Sud all’Europa. Ho già sottolineato come sia necessario agevolare le imprese che investono e assumono dimezzando l’Ires: è un costo sostenibile e può cambiare drasticamente la nostra attrattività internazionale. Parallelamente vanno concentrati gli incentivi sull’apprendistato».
C’è qualcosa che i nostri governi stanno particolarmente trascurando?
«L’importanza dei figli: riconcentrare gli aiuti alle famiglie dando precedenza a quelle con figli e con redditi bassi. Forse non ci rendiamo conto che l’assurdo provvedimento degli 80 euro dà due volte 80 euro a una coppia con casa di proprietà senza figli e con 50.000€ di reddito mentre non dà nulla a una famiglia con figli e senza casa di proprietà con meno di 10.000 euro di reddito».
Interventi strutturali prioritari?
«Glieli sintetizzo: 1)Istruzione dai primi anni di vita, ridisegno dei cicli scolastici e formazione per tutta la vita; 2) riordino di tutto ciò che riguarda assistenza, politiche attive per il lavoro e lotta alla povertà puntando molto sul terzo settore; 3) lotta senza quartiere alla corruzione che è un’altra emergenza nazionale. Ma sul serio. Gentiloni ha davanti a sé un compito non facile».
Un manifesto politico: sta valutando una nuova discesa in campo?
«No. Mi ha chiesto lei le priorità del nostro Paese...».
Perché è andata male la sua avventura politica?
«Ho proposto un cambiamento alternativo rispetto a quello disfattista di Grillo e non sufficientemente radicale di Renzi: il mio era un progetto molto più ambizioso. Ho incontrato molto interesse di tante persone in gamba ma non era sufficiente per sostenere un progetto così radicale. Alla fine la decisione è stata obbligata: per contrastare l’immobilismo italiano serviva una mobilitazione più forte».
Un po’ autoassolutorio...
«Forse, ma ho rischiato del mio e ho elaborato una proposta chiara per Milano che poteva diventare il laboratorio per un progetto nazionale: puntare a essere una delle più dinamiche metropoli mondiali con leadership assolute nella medicina, nell’universita e nella ricerca, nelle industrie più innovative e creative. Fare di Milano una Città Stato come altre grandi città europee dando alla città metropolitana lo status di regione come la Costituzione permette. È stato preferito altro».
Non si è pentito del ritiro? Ora che si va verso un sistema proporzionale avrebbe avuto delle possibilità...
«Il proporzionale non mi piace: vorrei un sistema maggioritario a due turni di coalizione per avere maggioranze forti e chiare, collegi uninominali per poter scegliere i nostri rappresentanti e una sola Camera di massimo 400 deputati...».
Ormai appare scontato che in Italia si voterà tra un anno: cosa prevede?
«Il disagio sociale è grande 10 milioni di italiani senza lavoro o senza un lavoro sufficiente sono una bomba innescata, la gente ha paura per il futuro e non vede un progetto credibile per il quale valga la pena di impegnarsi. Se non riusciremo a dare speranza il clima sociale non potrà che peggiorare. La cosa che più mi preoccupa è vedere che quasi tutti inseguono i populismi anziché fornire visioni alternative, rassicuranti e concrete. In questo senso apprezzo molto il posizionamento che si è dato Macron in Francia».
Attaccare i populismi è di moda: non sono un’ espressione democratica?
«Si può perdere la democrazia anche per via democratica se prevalgono movimenti che minano alla base partecipazione e corpi intermedi. Essere populisti è molto diverso dall’essere sinceramente popolari. Saranno pure democratici, ma movimenti che vedono nemici e complotti dappertutto e contrabbandano per salvifiche delle bufale muri, chiusura dei mercati, uscita dall’euro mi fanno paura perché basta guardare alla storia del Novecento per sapere dove finiscono».
Io però non riesco a immaginarmi Salvini o Di Battista come un dittatore...
«Quando i populismi cominciano a inseguirsi diventano pericolosi. Orban in Ungheria si è fatto superare a destra sui migranti. E, comunque, vogliamo fare a livello nazionale un’esperienza tipo quella attuale di Roma?».
Cosa auspica?
«Che si riesca a mettere insieme il mondo della gente che manda avanti ogni giorno la sua famiglia, la sua impresa e cosí il Paese. Lo chiami mondo liberale, popolare, moderato: è una maggioranza silenziata che oggi si è in buona parte rifugiata nel non voto».
Il centro? Ha più partiti che elettori...
«Infatti può anche darsi che non ci si riesca. Sono però convinto che sia più facile combinare “al centro” valori liberal-popolari di centrodestra e social-democratici di centrosinistra piuttosto che compattare all’interno degli schieramenti tradizionali le posizioni più moderate con quelle sempre più estremiste sui due lati. La polarizzazione agli estremi che sta avvenendo in Italia rischia di favorire ulteriormente i populismi».
Allora mi sembra che ci sia già e abbia su per giù le fattezze del Nazareno bis?
«I patti del Nazareno hanno fallito per mancanza di idee forti, di figure coraggiose e generose (affrontare sul serio i problemi è spesso elettoralmente costoso) che sappiano gestire i grandi cambiamenti che abbiamo davanti a noi e costruire consenso trasversale. La dinamica politica sarà sempre più tra aperti e chiusi al cambiamento, tra insider ed esclusi piuttosto che tra destra e sinistra».
A me pare invece che tutti si siano rassegnati al fatto che nel 2018 vincerà Grillo. Sperano così di archiviare Renzi e Berlusconi e di ripartire in un paio d’anni dopo il prevedibile disastro di Cinquestelle...
«Fortunatamente la storia è creativa e spesso sorprende rispetto al coro unanime delle previsioni».
I moderati che descrive sono una minoranza: lei dice che il suo progetto è andato male perché la gente non ha avuto il coraggio di cambiare ma per avere questo coraggio bisogna prima toccare il fondo. Forse la sua proposta è arrivata troppo presto?
«Attenzione alla teoria secondo la quale “per rimbalzare bisogna prima toccare il fondo”: al fondo non c’è mai fine».
Lei nella stanza dei bottoni c’è stato. Il governo Monti quando partì era popolarissimo ma non ha lasciato un buon ricordo: cosa avete sbagliato?
«A quel governo era stato chiesto di evitare il commissariamento da parte della Troika e di fare riforme impopolari ma necessarie, come quella delle pensioni o dell’anticorruzione, che la politica non osava varare».
Vi rimproverano una politica economica depressiva...
«Come lei sa l’effetto depressivo l’hanno avuto soprattutto le tre finanziarie varate prima del nostro arrivo nel 2011. Sulla crescita avremmo dovuto fare di più come ho ripetutamente detto al mio Presidente del Consiglio. Ci sono state anche scelte chiaramente sbagliate, proprio perché inutilmente depressive, come quella sulla nautica».
Vi rimproverano anche di aver ammazzato il mercato immobiliare...
«Il calo drammatico del settore ha cause ben più profonde. Rimango dell’idea che una tassa annuale sulla casa di importo ridotto semmai meglio modulabile basata su un catasto aggiornato possa avere una sua funzione importante come succede in tanti altri Paesi».
La medicina non ha curato il malato: oggi stiamo meglio o peggio che nel 2011?
«Il nostro governo si è dimesso a fine 2012. Il 2017 è figlio soprattutto degli scorsi quattro anni su cui c’è di che essere molto critici. La situazione economica del Paese ricorda purtroppo molto quella del 2011 ma, a differenza di allora, il termometro non segna la febbre perché lo spread è tenuto artificialmente basso dalla Bce. In questa situazione siamo più difesi di allora dall’aggressione dei mercati».
È stato un assalto dei mercati all’Italia o dell’Europa al governo Berlusconi?
«Il mercato è implacabile coi deboli. Se un Paese perde la fiducia dei mercati la speculazione si scatena e nel 2011 l’Italia aveva perduto la fiducia di quasi tutti. Per cause contingenti e per mancanze accumulate negli anni».
Oggi rischiamo il commissariamento?
«Finché c’è Draghi e i tassi restano così bassi no, ma va fatto di più per la crescita».
Ma Draghi presto se ne andrà...
«Non è detto, e comunque non è interesse di nessuno in Europa che l’Italia collassi».
Il debito pubblico continua a salire: come possiamo abbatterlo?
«L’unica via è una crescita di almeno 2 o 3 punti percentuali e per molti anni. Qualsiasi altra soluzione sarebbe autolesionista. Pensare a una patrimoniale sarebbe folle: anche se fosse di 200 miliardi, distruggerebbe il Paese senza intaccare sostanzialmente il debito».
Come stanno le nostre banche?
«Abbiamo banche solide da tempo, altre ritornate solide recentemente. Abbiamo medie banche con tutti i numeri per diventare grandi e altre in grande difficoltà. Abbiamo molte piccole banche che non sono in grado di farcela se non si mettono insieme. Tutto il sistema è oggi appesantito dalle sofferenze e risolvere questo problema è l’emergenza più urgente. Strutturalmente dobbiamo tener conto che la combinazione di concorrenza, tecnologia e regolazione rende i costi attuali di molte banche non sostenibili».
Perché l’hanno fermata su Mps?
«Qualcuno lo sa? L’unica cosa certa è che azionista di riferimento, management ed advisor hanno combinato un bel guaio che è costato e costerà moltissimo al nostro Paese».
Ma oggi può dirsi salvo Mps?
«C’è un impegno del Tesoro a sostenere la banca, ma per il resto è nebbia. I messaggi di Bruxelles, Francoforte, Roma e Siena non sempre coincidono. Rimango dell’idea che Mps potrebbe giocare un ruolo importante malgrado quest’anno buttato alle ortiche».
Che progetti ha in testa adesso?
«Di questo parliamo la prossima volta: Mps dà però l’idea dei progetti ai quali lavoro in questi mesi. Esperienza manageriale e ruolo imprenditoriale devono sposarsi. Attirando investimenti e talenti in Italia».
Si ostina a non dirmi a cosa lavora...
«Sono solito fare prima di parlare».