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 2017  marzo 20 Lunedì calendario

Una buona parola per tutti

ROMA «Il signor Paolo M., da Latina, ha in corso presso codesto ente una domanda di assunzione. È possibile accontentarlo?». Firmato, Giulio Andreotti. Oppure: «Mi consenta di segnalarle, per quanto riguarda le Istituzioni di diritto romano, il professor Emilio B.». Firmato, Aldo Moro. Ancora: «Ti unisco l’appunto relativo al signor Ignazio S. e ti prego di un particolare interessamento in suo favore». Firmato, Oscar Luigi Scalfaro.
Linguaggio semplice, asciutto, diretto: le lettere su carta intestata e protocollate sono decine, alcune scritte a mano, tutte datate fra i primi anni ’50 e metà degli anni ’60. I mittenti sono deputati della Democrazia cristiana, dirigenti della Cisl, monsignori; i destinatari sono ministri, sottosegretari e dirigenti di aziende parastatali. Un ufficio di collocamento parallelo, la Prima Repubblica in tutta la sua “ingenuità”, per certi versi: si chiedeva un alloggio popolare per tal famiglia, un aumento di stipendio per l’invalido di guerra, la revoca di un trasferimento per un padre di famiglia e così via. Tutti scrivono, chiedono “ogni possibile benevolenza” e i “possibili consentiti riguardi” ai propri interlocutori, affinché intercedano: Emilio Colombo, Francesco Cossiga, Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani, Antonio Gava, Giorgio La Pira, Giovanni Leone, Antonio Segni, don Luigi Sturzo, Paolo Emilio Taviani, Benigno Zaccagnini. Dc in maggioranza assoluta, come si vede. Tra i documenti una sola firma extra-scudocrociato: quella del socialista Antonio Giolitti.
Le missive erano tutte tra i faldoni dell’Archivio di Stato e come siano arrivate fin qui, su queste pagine, è una storia nella storia: l’impiegato Dante S. venne dislocato agli uffici archivistici dell’Eur a inizio anni ’80. Persona mite, politicamente moderata – figlio di emigranti emiliani che prima si trasferirono in Inghilterra, poi in Libia e solo dopo la guerra rientrarono in Italia, a Roma – e senza particolari fervori rivoluzionari, alla visione di quelle centinaia e centinaia di lettere di raccomandazione non la prese bene. Le trafugò, una dopo l’altra, con l’idea di farne dono al figlio, allora militante della sinistra extraparlamentare. Sperando che fosse lui, in qualche modo, a “vendicare” quell’ingiustizia. Quello spaccato di storia contemporanea è rimasto per 35 anni dentro uno sgabuzzino, gelosamente custodito.
Ogni comunicazione è una storia a sé. Il deputato fiorentino della sinistra dc Renato Cappugi scrive al collega Pietro Germani: «Ti unisco un promemoria riguardante un nostro carissimo amico dell’Azione cattolica, Dc, Acli, Sindacati liberi. Desidera essere riassunto presso l’Intendenza di Finanza di Firenze. Ti prego, con eccezionale interesse, di voler fare tutto quanto è in tuo potere a tal fine». Ma le cose evidentemente vanno male e due mesi dopo Cappugi riscrive a Germani, gli spiega che il suo elettore è amareggiato: «Rileva la fortuna, diciamo così, che purtroppo hanno quasi sempre i “compagni” ogni qual volta si trovano a competere con i nostri». Cappugi continua: «Si tratta di uno dei nostri a prova di bomba e, credi, fa male al cuore pensare che non sia possibile trovare il modo di metterlo a posto. Vedi, caro Germani, se mi dai un buon consiglio e se mi aiuti…».
La Cisl nel 1954 chiede a un deputato della Dc, commissario governativo all’Ente economico zootecnia, di non far pagare al sindacato le spese processuali di una causa intentata in passato (e persa) contro lo stesso ente: «Fu intentata a nostra insaputa dal vecchio segretario provinciale di Perugia. Sono certo che non mancherà il tuo interessamento», scrive il segretario generale aggiunto Bruno Storti. Un altro onorevole ancora, prega lo stesso destinatario che venga pagata con celerità la liquidazione «di un nostro bravo attivista che si è tanto adoperato nella campagna elettorale. Mi faresti cosa gradita se potessi assecondare il suo desiderio».
Nel 1962 il sottosegretario sardo Salvatore Mannironi scrive al presidente delle case degli impiegati statali Umberto Ortolani (poi diventano uomo della P2): «L’appuntato dei carabinieri Sebastiano R., domiciliato a Tempio Pausania, deve eseguire alcuni lavori indispensabili ai servizi igienici per una spesa prevista di 77mila lire. Le sarò grato se vorrà esaminare la possibilità di autorizzare detti lavori con spese a carico dell’istituto, trattandosi di una somma molto elevata per le limitate possibilità economiche del R.». Un altro ras della Dc calabrese, Riccardo Misasi, sottosegretario anche lui, comunica che «Francesco Z. ha avanzato domanda per ottenere in affitto un locale, possibilmente nel lotto II° delle scuole elementari, nella borgata di Torrespaccata, da adibire a bar».
Ci si interessa anche per motivazioni in apparenza minori. Il ministro Bernardo Mattarella, padre dell’attuale presidente della Repubblica, interpella Heros Cuzari, presidente dell’Ente zolfi italiani: «Con la tua cortese lettera mi hai comunicato la concessione di un sussidio straordinario di 15mila lire a favore del signor Ignazio A. ma l’Ufficio regionale di Palermo trasmetteva un vaglia cambiario di 10mila lire. Ti sarò grato se vorrai gentilmente chiarirmi i motivi della discordanza». Talvolta le richieste sono pressanti. L’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro si rivolge all’“illustrissimo commendatore” commissario dell’Ente zootecnia: perora la causa di Giorgio G., che vorrebbe essere assunto. Viene descritto come una persona di «ineccepibile moralità, di fini sentimenti, attivo, capace e laborioso, da me ben conosciuto perché da un anno dà la sua opera, animata di spirito caritatevole, volontariamente, presso la mia segreteria. Il poter vedere sistemato questo giovane sarebbe per me causa di molto contento». Il monsignore viene accontentato, ma con un impiego di soli tre mesi. Allora Lercaro riscrive: «Abuso della sua gentilezza se le chiedo che il G. sia trattenuto e riconfermato?». La sponsorizzazione non sortisce effetto, allora insiste con una ulteriore lettera: «Le sarò grato se vorrà benevolmente accogliere questa mia ulteriore umile richiesta e dar consistenza alle aspirazioni del G.». Allora finalmente G. viene assunto a tempo indeterminato alla Gestione centri latti di Bologna: «La prego di gradire il mio più devoto e profondo ossequio», ringrazia il cardinale.
Non è facile fare contenti tutti. Nel 1958 il senatore liberale Edoardo Battaglia quasi si sfoga con il principe Franco Lanza di Scalea, presidente dell’Ente zolfi: «Tu sai che io di richieste ne ho infinitamente assai e sono in grado di fornirti dall’usciere al segretario particolare più abile. Allora gradirei sapere quali dovrebbero essere le qualità della persona (almeno una) che potresti assumere».
La piaggeria trasuda dalle formule di saluto: “carissimo”, “devoti saluti”, “distintamente ossequio”, “vivi ringraziamenti”, “devotissimo”, “obbligatissimo”. Una tra tante suona perlomeno più originale: “tante affettuosità”.