Corriere della Sera, 4 marzo 2017
In morte di Kopa
Raymond Kopaszewski detto Kopa era morto a 86 anni da poche ore, ieri mattina, quando Robert Ménard, lepenista di punta, ha provato ad arruolarlo: «Era il simbolo di un’immigrazione che si integrava». Obiettivo: i giocatori di origine africana, sospetti di scarsa francesità. A ridicolizzare Ménard ha pensato Just Fontaine, sodale di una vita di Kopa, che ha ricordato come neanche ai loro tempi fosse scontato urlare in campo i versi della Marsigliese: meglio parole a vanvera come «le palle di mio nonno».
Bastava conoscere Kopa per capire come è diventato un grande francese. I suoi nonni erano minatori polacchi, il polacco era la lingua che parlava in casa, a scuola faticava per questo. E per questo andò anche lui in miniera.
A 16 anni l’incidente sul lavoro che gli cambia la vita: via mezza mano sinistra, piedi intatti. Primo contratto, ad Angers. È l’allenatore a ribattezzarlo Kopa, «così si ricorda meglio». L’avrebbero ricordato lo stesso quel «10» dribblomane e imprendibile, 1,68 come Messi. A vent’anni lo prende lo Stade Reims e diventa una star. Kopa cambia la storia del calcio: è il primo atleta a farsi holding, il primo ad associare il suo nome a scarpe, vestiti, succhi di frutta, sigarette. Non è venale, crede nell’autodeterminazione del calciatore.
Arriva in finale di Coppa Campioni con il Real, che se lo porta a Madrid. È il 1956, ed è lui a scegliere: lo vuole anche il Milan, ma il Real gli garantisce la libertà a fine contratto. Dopo la pubblicità, Kopa s’inventa anche lo svincolo, 40 anni prima della sentenza Bosman.
A Madrid forma un quintetto irripetibile con Puskas, Di Stefano, Gento e Rial. Nel 1958, semifinale mondiale, lo ferma solo Pelè. Gli danno il Pallone d’oro. Ma la grandezza della sua personalità si vede fuori dal campo. Nel ‘59 rifiuta il prolungamento di 5 anni che gli propone il Real,e torna in Francia. Nel ‘63 aiuta Fontaine a fondare il sindacato. «I calciatori sono schiavi», grida in una celebre intervista. Il contratto a termine per la gente comune è una mannaia, per gli atleti una manna. Kopa ne ricava una squalifica di sei mesi, un assist storico ai colleghi. Si ritira a 36 anni e si dedica alla lotta contro il cancro, in nome del figlio morto di linfoma.
Kopa ha consegnato al calcio l’arma dell’intelligenza. Senza di lui, forse non ci sarebbero stati Platini e Zidane: numeri 10, Palloni d’oro, figli e nipoti di immigrati.