Libero, 27 febbraio 2017
«La violenza è nel nostro dna: ecco perché la cronaca piace» . Intervista a Gianluigi Nuzzi
Nessuna velleità educativa, solo il gusto di raccontare notizie inedite al grande pubblico affamato di scandali. Sesso, sangue e pure soldi le tre esse magiche che quasi certamente rendono ghiotta la notizia sono gli ingredienti prediletti di Gianluigi Nuzzi Re Mida d’inchieste vaticane e cronaca nera. Conduttore di Quarto grado su Rete 4, ora è anche al timone del suo spin off domenicale. Siamo con lui quando escono gli ascolti della prima puntata, vista da un milione e passa di italiani. «Sono soddisfatto, non è uno spazio facile. Contro ho Fazio e Minoli».
Perché la cronaca nera in tv è così seguita? «Credo che la violenza sia nel dna dell’uomo. Per questo, fa paura e si cerca di capirla, esorcizzarla, combatterla. C’è una matrice di violenza in ciascuno di noi e ci si immedesima, ecco perché interessa».
Un caso che l’ha colpita?
«Quello di Emanuela Orlandi. Perché ha diverse chiavi di lettura e c’è un Papa che fa sette appelli pubblici perché venga liberata. È un intrigo di interessi con una complessità sorprendente rispetto alla storia di un omicidio in famiglia».
Ma lei riesce a mantenersi distaccato?
«Relativizzo. La distanza è importante. E poi il cinismo arriva per difesa di se stessi e dei propri sentimenti».
Lei è anche il vice direttore di Videonews: punto forte del vostro palinsesto Pomeriggio e Domenica 5, i contenitori di Barbara D’Urso spesso criticati per lo stile col quale affrontano certi casi di cronaca.
«Penso che Barbara D’Urso sia una professionista che dedica l’anima ai suoi programmi e dialoga con un pubblico, avendone il linguaggio».
Che pubblico è?
«Quello del pomeriggio che guarda la tv e che vorrei fosse rispettato».
In che modo?
«Barbara D’Urso è espressione di quelle persone. Son tutti coglioni? Può darsi, ma io non penso sia così».
Anche Fiorello ha criticato l’eccesso di cronaca nera in tv...
«Ha detto che di cronaca nera devono occuparsi i giornali, ma a me i diktat fanno paura. Non è un problema di temi ma di come li si affronta».
Allora, tornando alla D’Urso: condivide il modo nel quale affronta i casi di cronaca nera?
«Io non metterei una cartomante nei miei programmi, perché credo che siano persone che vendono fumo, per esempio. Ma noi non pensiamo ad una tv che educhi, la tv deve essere intrattenimento, informazione».
Anche la Rai?
«Parlo per Mediaset. In Rai c’è una stratificazione di giornalisti figli della partitocrazia del ’900, pensassero a bonificare le redazioni da chi è entrato lì con la tessera di partito».
Campo Dall’Orto tolse la nera da Domenica In. Servizio pubblico e cronaca nera diurna sono incompatibili?
«No, la cronaca nera per me è servizio pubblico e lo dice pure la Sciarelli. Che credo faccia cronaca nera».
In un’intervista ha detto che vede molta violenza e ipocrisia in politica: ci dice a cosa si riferisce?
«No. Però, per dire, Renzi ha usato durante la recente assemblea del Pd la parola ricatto. Che è una violenza. Bianca, certo perché non c’è il sangue, ma non credo che sia meno grave se poi determina il destino di un Paese».
Oltre alla cronaca, lei è famoso per le sue inchieste scomode: come inizia l’interesse per gli affari del Vaticano e perché?
«Ho sempre cercato quello che gli altri non facevano. Il Vaticano è una questione che nessuno aveva voglia di affrontare, probabilmente per sudditanza o per paura».
Lei non ha mai avuto paura?
«Sì, però l’adrenalina ti porta avanti».
Ha toccato poteri più che forti: perché Roberto Saviano è percepito come un eroe e lei no?
«Premesso che Saviano non avrebbe piacere di essere Nuzzi e viceversa, lui ha il merito di aver sdoganato un problema. Saviano, però, è figlio di un mondo un po’ radical, un po’ chic, un po’ di sinistra mentre io sono un apolide».
Quando passò da La 7 a Mediaset disse che avrebbe portato a Cologno un programma di inchieste: che fine ha fatto?
«Bisogna chiederlo a Mediaset. L’idea c’è, ma l’inchiesta in tv ora è in crisi, basti guardare Report».
Tornando al Vaticano: quanto pensa che sia ancora influente rispetto alle decisioni della nostra politica?
«Molto. Trovo ancora sorprendenti certe frasi dette da esponenti autorevoli della Chiesa sulla adeguatezza o meno della Raggi a essere sindaco di Roma. Loro sono rappresentati di uno Stato estero».
E quanto pensa possa avere influito la sua inchiesta su Papa Ratzinger rispetto alle sue dimissioni?
«Hanno influito gli autori di quello che racconto».
Certo, però lei gli ha puntato un bel riflettore addosso...
«La scelta di Benedetto XVI è stata dettata soprattutto dal fatto che la Chiesa è in crisi, perché la fede è in crisi.
Però Papa Francesco sta cercando di riportarla in auge?
«Francesco sta provando a fare un lavoro soprattutto sulle mentalità, che è la cosa più difficile da cambiare».
Ma lei il Papa lo conosce?
«No, mai nemmeno sentito per telefono».
Pensa che le sue inchieste abbiano contribuito ad allontanare le persone dalla Chiesa?
«Al contrario, penso le abbiano avvicinate».
Come?
«Una Chiesa trasparente, avvicina. Se le offerte fossero tracciabili come il Dhl, la gente donerebbe di più. Se rimangono le zone buie si confonde il mistero della fede con quello del denaro, che deve essere trasparente. Comunque, i miei libri non vogliono aiutare il cambiamento, non è questo il mio scopo».
E qual è?
«Provare adrenalina e avere notizie».
Per le sue notizie è finito sotto processo...
«Credo che il processo sia figlio di interessi e poteri diversi all’interno del Vaticano e che abbia fatto fare una brutta figura al Papa. Noi abbiamo solo fatto il nostro mestiere: bastava leggere in chiave laica i rapporti tra noi e Monsignor Balda. Sono stato prosciolto, ma rimane una brutta pagina per loro».
Si è mai pentito di aver scritto Via Crucis?
«Assolutamente no».
Le manca la carta stampata?
«Ogni tanto sì. Ma anche scrivere libri è carta stampata, in fondo».
Ora è a teatro con Pecunia: La via crucis di Papa Francesco. Ce ne parla?
«Sarò a Milano il 20 aprile al teatro Carcano. Lo spettacolo è intrigante: il palco è un triangolo magico fra te, la storia raccontata e il pubblico in sala. E poi mi stimolano i nuovi linguaggi e il teatro è un nuovo linguaggio per me».
Le piacerebbe fare un film delle sue inchieste?
«Non c’è nulla di definitivo, non ne parlo».
Ha visto The Young Pope?
«Sì. Qualcuno dice che abbia attinto dai miei libri. Io non penso che i fatti siano di proprietà di chi li racconta. The Young Pope dieci anni fa sarebbe stato impensabile e di questo mi faccio un vanto: ho sdoganato l’informazione su certi temi».
Ma le è piaciuto?
«Più lo stile del contenuto, che ha sempre l’ombrello della semplificazione».
Lei è credente?
«Sì, ma pratico poco».
E nella Chiesa ci crede?
«Credo negli uomini, ci sono sacerdoti che sono stati fondamentali nella mia vita».
Un’ultima domanda: qual è la storia delle cicatrici sul suo viso?
«Un incidente in motorino. Ero in Grecia, non avevo nemmeno bevuto. È stato molto doloroso, ma ora quasi non si vedono più».