Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  febbraio 27 Lunedì calendario

Emozioni da Oscar

La notte degli Oscar in realtà comincia prima delle ventitré, e fa sempre esclamare: vabbé, però non si farà tardi (errore gravissimo).
Ma è vero, comincia il collegamento in diretta con Los Angeles. Traduttori, ospiti in studio in Italia, intervistatori sul red carpet, tanta gente intorno che urla, centinaia di fotografi. E pian piano comincia ad arrivare qualcuno sotto un sole alto e cocente. E quindi ci si rende subito conto che a Los Angeles è pomeriggio, che gli ospiti della serata stanno appena avvicinandosi nei paraggi del teatro dove si svolge la cerimonia. E poi arrivano anche i primi candidati, e man mano tutti, e si considerano vestiti, acconciature, sovrappesi e diete. E poi si indica qualcun altro che passa e saluta le telecamere e si dice: aspetta, quello chi è?, mannaggia, ce l’ho sulla punta della lingua.
Le interviste sono interessanti, anche se a volte parlano di cose incomprensibili. Il tempo passa, le birre, le chiacchiere, i dolci che un ospite ha portato si vanno consumando, qualcuno dice la frase che rivela il cedimento del gruppo davanti alla tv, dopo che si era detto: vediamolo tutti insieme, che ci importa che al lavoro arriviamo devastati? Recuperiamo lunedì. La frase è: ma quando comincia? E corrisponde a quello che un figlio dice in macchina: ma quando arriviamo? È una frase che rompe l’entusiasmo, la volontà. Poi qualcuno comincia a dire: posso distendere un po’ le gambe, solo un po’? E l’euforia cala, i silenzi davanti al red carpet si fanno più lunghi.
E così pian piano ci si addormenta, si chiacchiera di altro, si confessano cose inconfessabili con il solo scopo di scuotersi e scuotere per restare svegli.
E poi, la notte degli Oscar finalmente comincia. Quel collegamento con il teatro che mostra tutta la sala, gli applausi, le luci che si accendono sul palco. Le inquadrature dei candidati a miglior attore o attrice, i registi, tutti sorridono facendo finta di non essere tesi, ma anche con un vero senso di sportività.
È una questione fondamentale degli americani che noi capiamo pochissimo: la candidatura è già un risultato gigantesco. Noi invece costringiamo Rosi a rassicurarci e a dire: noi siamo contenti anche se non vinciamo – ma non gli crediamo, e se non ha vinto pensiamo: era meglio che non lo candidavano. Così come arrivare secondi o terzi nel campionato di calcio è aver perso, in Italia; arrivare alle semifinali o in finale di una grande manifestazione sportiva è aver perso, in Italia. Per gli americani non è così: per loro è un risultato totalmente positivo, e la candidatura apparirà con orgoglio nei trailer dei prossimi film con quegli attori. E poiché hanno ragione loro, è questa condizione psicologica che rende gli Oscar così affascinanti: il clima di festa. L’idea che ognuno dei candidati sogna di vincere ma sorride con sincerità e ammirazione quando «the winner is…» un altro. È ciò che permette ad Adele di dividere il suo Grammy in due (ma come ha fatto?) e di darne mezzo a Beyoncé. Da noi Beyoncé sarebbe stata esonerata.
Ecco il segreto di ciò che ci seduce negli Oscar. Vorremmo essere così, ma il nostro approccio culturale alla vittoria e alla quasi vittoria è problematico. Tutto il resto, è commentato come i risultati del Festival di Sanremo: ci sembra sempre che l’attrice che meritava per davvero ha perso, che l’attore che ha vinto è bravo ma non era per questo film che meritava la statuetta, che è assurdo che il nostro film preferito non abbia vinto niente, o che finalmente ha vinto tutto e quindi il clima deve essere cambiato.
Queste discussioni riguardano coloro che sono rimasti svegli, non gli altri che dormono, e fanno finta di svegliarsi quando arriva la candidatura per il miglior film straniero, ma in realtà stanno già in un altro mondo, popolato di altri film più autobiografici, casomai horror. Il conforto che lascia abbandonare tutti noi a un certo punto della notte, consiste nel fatto che la contemporaneità ci permette di risvegliarci la mattina e non solo leggere chi ha vinto, ma anche di vedere i momenti più emozionanti, le battute migliori del presentatore, le proteste contro Trump, e soprattutto i ringraziamenti che ci fanno piangere.
Perché è questo il motivo vero per cui ci appassiona la notte degli Oscar: non tanto sapere chi vince, ma sentire quella felicità di chi sale sul palco incredulo o consapevole, emozionato, vedere chi scoppia a piangere, chi parla di sua mamma, chi era un attore finito ed è rinato adesso, chi non riesce a dire nulla, chi si era preparato un discorso.
Alla fine della notte degli Oscar, andiamo a dormire confortati dal fatto che c’è qualcuno che ha ottenuto con tenacia e talento un riconoscimento al suo lavoro, e questo lavoro è quello che ci fa uscire di casa, e condividere con gente sconosciuta e al buio, per due ore, una storia.