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 2017  febbraio 23 Giovedì calendario

La spending review si è fermata ai cessi

Ormai il destino degli onorevoli è segnato, e sono stati inceneriti i loro privilegi più reconditi: non c’è più un solo luogo istituzionale dove possano assidersi sereni, senza essere turbati da odiosi presentimenti di repulisti totalitario. 
Bisogna sapere che esiste un perché sconosciuto della volontà pervicace dei deputati di far durare la legislatura il più possibile. Una ragione ignota non solo al vasto mondo, ma anche agli esperti politologi delle università, e fin qui non si stupisce nessuno, ma anche ai guru del gossip. È un segreto che per ragioni di riservatezza e buon gusto, non è mai stato propalato: sono cose del resto che non si dicono, non è bene, nonostante Luis Buñuel si sia illuso di sdoganare questo residuo simulacro di pudore ne Il fascino discreto della borghesia, allorché i suoi personaggi si nascondono per mangiare, e invece si radunano per sedersi insieme sul water. Ecco, ho rotto la campana di riservatezza, il segreto di Stato non dichiarato ma vigentissimo, conosciuto e mantenuto non solo dai deputati ma anche dai giornalisti parlamentari, perché anch’essi ne usufruiscono e tacciono. I cronisti del Palazzo hanno rovinato i fasti del ristorante della Camera, demolendone i privilegi, al punto che ormai è carissimo e funziona come il contrario di uno status symbol, aperto com’è adesso anche a portaborse vari; ma i medesimi gazzettieri non si sono mai sognati di tradire il vero privilegio della comunità parlamentare: la toilette. Non parlo di quella delle signore, ma presumo garantisca conforti analoghi. Ebbene, la toilette di Montecitorio è diventata un supplizio, è stata trasformata in un luogo di angosciosi pensieri. 
Il piano nobile del Palazzo, quello dove si apre l’aula, ha una porta non segnalata da alcun cartello neppure piccolino. Nel corridoio c’è il pannello con l’indicazione “bancomat”, anche se si noterebbe lo stesso il macchinario colorato, ma quella porta doppia e intarsiata è vergine di scritte. Si entra e davanti c’è la barbieria, ormai a orari ridottissimi, e finalmente un cartone doppio con due parole e due frecce. A destra c’è la scala che porta al bagno delle signore ma anche dei trans (vedi Luxuria e i suoi litigi sul diritto di accesso con Daniela Santanchè), e a sinistra ecco l’andito che porta verso otto meravigliosi gabinetti in senso etimologico, insomma camerette. Nulla a che vedere con i cessi dei deputati europei. Sono dotati, oltre che del prezioso attrezzo in ceramica, di lavandino con acqua calda e fredda a getto immediato, ci sono salviette di carta pesante, che qualcuno si porta a casa, ci sono i coprisedili, invenzione igienica diffusa in Occidente ma sconosciuta da noi, e il bidet, invenzione italiana trascurata in qualsiasi altro ambiente parlamentare del mondo. Ogni postazione ha le dimensioni di una cella che a Poggioreale ospiterebbe un paio di detenuti. Tutto è lindo perfetto. 
Ho usato il tempo presente. Ma questo privilegio non esiste più. Che cosa è successo? Non si sa chi ha avuto l’idea, e neppure si osa elevare la benché minima protesta, ma succede che dopo due minuti, forse meno di presenza, la luce si spegne, e il buio assoluto precipita sui fruitori. Non ci sono finestrelle. Nulla. Il buio totale. Si dice che un vecchio ex deputato comunista di passaggio, intento alla sua fatica, abbia immediatamente pensato a un golpe, e sia rimasto immobile in attesa di notizie (nei bagni non c’è campo per i telefonini). Ho fatto anch’io questa esperienza, e garantisco che subentra il panico. In realtà se ci si rialza, le cellule fotoelettriche fanno risplendere di nuovo le lampadine, ma è una brutta esperienza, ci si sente abusivi, un avviso terribile ai deputati, i quali però tacciono, nessuna protesta, neanche in camera caritatis, non fanno trapelare nulla, temono di doversi portare se si risapesse di questo privilegio recondito la carta igienica da casa.