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 2017  febbraio 23 Giovedì calendario

Cent’anni fa Lenin andò al potere

Nel febbraio 1917, il 23 per la precisione, sboccia a San Pietroburgo il fiore avvelenato della prima Guerra mondiale, con l’inizio della rivoluzione che, iniziata con l’abdicazione dello zar Nicola II, terminò la sua fase iniziale con la presa di potere da parte dei bolscevichi guidati da Vladimir Lenin nell’ottobre. Era stata preceduta, il 29 dicembre, dall’assassinio di Rasputin, l’influente anima nera della corte. Intendiamoci, almeno nella prima fase, si tratta di fatti endogeni, le cui cause vengono da lontano, dall’800 degli oblomivisti (propugnatori di un’apatica e fatalistica indolenza), dei decabristi (i componenti delle decine di società segrete che prosperavano nei principali centri dell’impero) e, di fronte alle sfide del nuovo secolo, il ’900, nell’incapacità dell’autocrazia russa, stretta tra lo zar e la sua corte e la Chiesa ortodossa, di ammodernarsi, introducendo i principi che erano trionfati in Occidente, nei regimi liberali, con cui, gradualmente, i diritti dell’uomo e del lavoratore erano andati ad affermarsi. C’è da considerare che dal 1892, la personalità politica dominante del governo zarista era Serghièi Witte, ministro delle finanze e propugnatore di una industrializzazione rapida e forzata che aveva trasformato decine di migliaia di contadini in operai: in «nuce» il terreno su cui si fonderà la protesta prima, la rivolta poi.
Nel 1861, era stata abolita la servitù della gleba (che legava i contadini alle terre di nobili), ma le modalità di attuazione avevano ridotto la portata della riforma trasformandola in una beffa. Il colpo finale al regime zarista, però, l’aveva dato l’entrata in guerra, nel 1914, a fianco di Francia e Regno Unito. Un progetto, quello di una guerra, caldeggiato dal ministro dell’interno von Plehve (assassinato il 15 luglio 1904), la cui tesi, di successo, era: «Per arrestare la rivoluzione, ci vuole una piccola guerra vittoriosa» (qualcosa di simile a ciò cui aspirava Mussolini: «Qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace»).
Nel 1917, le forze armate russe erano stremate e sconfitte: persa la Polonia, l’Ucraina e i Paesi baltici; 6 milioni di caduti; tifo petecchiale e colera; ruberie delle intendenze militari (rifornimenti alimentari di pessima qualità, abbigliamento inidoneo ad affrontare i rigori invernali, armi difettose). Insomma, tutti gli ingredienti necessari per giustificare diserzioni di massa, sino alla paralisi dei reparti in armi in un clima di intollerabile disfatta e per determinare il divorzio tra il sentimento popolare e lo zar e la Chiesa, sin lì entrambi oggetto della venerazione popolare.
Il 23 febbraio, nella capitale, si manifestano i primi moti di piazza. Li animano e dirigono i cadetti delle accademie, cui si accodano parte dei militari presenti a San Pietroburgo, socialisti rivoluzionari, menscevichi (la frazione socialista d’ispirazione socialdemocratica), anarchici e bolscevichi (che sono forza minoritaria, quasi insignificante, organizzata, però, in modo militare). In quei giorni cruciali, lo zar con la Guardia era, in sostanza, trincerato nei suoi palazzi. I suoi stessi fedelissimi, però, si rendevano conto dell’improrogabile esigenza di una sterzata che restituisse all’immenso Paese un ordine costituito capace di portarlo fuori dalla guerra incamminandolo verso la ricostruzione economica e morale.
Mentre a San Pietroburgo continuavano le manifestazioni, in tutta la Russia si andavano costituendo i Soviet, espressione spontaneista delle varie realtà sociali e produttive, ai quali, inevitabilmente, si trasferiva il potere di controllo della vita civile e militare (visto che già in questa fase i soviet dei vari reparti iniziarono a deporre i loro comandanti, eleggendone di nuovi, scelti anche fra i soldati semplici). Sotto la spinta della Duma e dei soviet, e i suggerimenti del principe Georgj L’vov, il 2 marzo lo zar Nicola abdicava. Pochi giorni dopo lui e la sua famiglia venivano arrestati. Contemporaneamente, proprio L’vov costituiva il suo governo provvisorio.
Per poco tempo, il potere russo ebbe due riferimenti: il governo provvisorio e i Soviet, di cui stavano diventando parte sempre più attiva i bolscevichi. Ma già il 12 marzo scoppiava l’ammutinamento generale delle forze armate. Nel medesimo giorno, si costituì un comitato speciale della Duma (il parlamento) e uno dei Soviet di operai e soldati. A questi nuovi organi rivoluzionari era di fatto attribuito ciò che restava del potere centrale. Nel caos che regnava, tuttavia, essi erano i punti fermi nei quali e attorno ai quali si svolgeva l’attività politica. Il principe L’vov continuava a gestire un governo provvisorio del tutto scollegato da quanto avveniva nelle piazze e nelle strade di San Pietroburgo e di Mosca. Il suo ministro degli esteri Miliukov diramava, addirittura, una circolare diplomatica nella quale affermava che «La guerra continua.»
Durò poco. Il 10 aprile era costretto a dichiarare la rinuncia a ogni conquista e la richiesta di una pace fondata sull’autodeterminazione dei popoli. Il 16 aprile sbarcava alla stazione ferroviaria di San Pietroburgo, dopo avere attraversato in un vagone piombato la Germania, Lenin, capo del partito bolscevico. Dopo il governo del socialdemocratico Aleksandr Fëdorovic Kerenskij (21 luglio-7 novembre 1917), Lenin e il suo partito assumevano il potere. Ma questa è un’altra storia.