Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  febbraio 23 Giovedì calendario

Se il Bund è come una polizza assicurativa

Che qualcuno stia comperando Bund a due anni è un dato di fatto: il prezzo del titolo (o, meglio, del benchmark) è in pressoché costante ascesa da quasi nove anni, con una accelerazione verso metà 2011, in coincidenza con la crisi dei debiti sovrani in eurozona.
Difficile è invece dire chi stia acquistando quel titolo che, nel corso della seduta di ieri, ha visto il rendimento scendere al minimo storico: meno 0,91%. Nel mondo alla rovescia dei tassi negativi, chi compera il Bund paga un interesse e quando quel titolo viene emesso è come se il Tesoro tedesco, anziché indebitarsi, facesse una sorta di proficuo investimento. Chi lo acquista parrebbe invece un folle o, quanto meno, un autolesionista. In realtà le cose sono assai più complesse e, anzi, un bel po’ più contorte.
Comperano il Bund le tesorerie delle banche, i fondi d’investimento, quelli speculativi e soprattutto le banche centrali. In Europa, gli istituti di credito devono garantire quotidianamente la copertura delle loro passività a breve (i depositi, per esempio) con altrettante attività a breve (in teoria). Potrebbero mettersi in portafoglio titoli a durata maggiore e con qualche reliquia di rendimento, come fanno parecchie banche italiane, che in tal modo sono però alquanto esposte sui titoli di Stato del nostro Paese. In alternativa, le banche possono depositare denaro presso la Deposit facility della Bce che, “remunerandolo” a -0,40% fa perdere solo la metà del Bund. C’è qualche dubbio che ieri, a -0,9%, siano state le banche a comprare quel titolo.
Invece potrebbero essere stati dei fondi, in particolare quelli speculativi, specie se in portafoglio hanno azioni (o bond governativi) dei Paesi a rischio, come Italia, Spagna e, da qualche tempo, persino Francia. Oppure potrebbero essere state le banche centrali a comprare Bund: e si mormora che quelle della Svizzera e della Repubblica Ceca siano state alquanto attive nei giorni scorsi nel far riserve in euro (ossia titoli in prevalenza tedeschi) per frenare l’apprezzamento delle loro valute. È lecito dubitare che l’abbiano fatto anche ieri inseguendo il rialzo dei prezzi.
Gli indiziati principali sono dunque i fondi e gli hedge fund che, a fronte di titoli azionari o obbligazionari italiani, spagnoli o francesi nei loro portafogli, acquistano Bund per mitigare il rischio Paese. Acquistare lo Schatz tedesco, anche a un rendimento negativo di -0,9%, equivale a pagare un premio, come si farebbe con una polizza assicurativa. Si può dire che una nutrita fetta d’investitori sia da tempo abituata a valutare il rischio Paese controbilanciandolo con una adeguata dose di sicuri titoli tedeschi. Non a caso c’è una correlazione inversa tra Bund a 2 anni e il comparabile Btp che si manifesta tutte le volte in cui si riacutizza la percezione di un rischio per l’euro: vuoi per la traballante stabilità politica in Italia e vuoi, da qualche mese, per le prospettive di una possibile affermazione della destra in Francia. Questa correlazione inversa tocca estremi ancor più elevati se la si applica ai titoli azionari del comparto bancario italiano: come era stato tra gennaio e febbraio del 2016, tra giugno e luglio, tra ottobre e novembre e di nuovo nell’ultimo mese.