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 2017  febbraio 23 Giovedì calendario

La guerra di Mel: «Vado all’Oscar con il mio eroe controcorrente»

LOS ANGELES Il più combattivo dei registi americani alle prese con la storia del primo “pacifista” della storia dell’esercito a stelle e strisce. Un paradosso? No, se si parla di Mel Gibson. Il suo nuovo film, La battaglia di Hacksaw Ridge – sei candidature all’Oscar – racconta la vera storia dell’obiettore di coscienza Desmond Doss (Andrew Garfield nel film) che nella battaglia di Okinawa, Seconda Guerra Mondiale, rischiò la propria vita per salvarne dozzine.
Gibson, che non recita nel film, è l’unico regista in corsa quest’anno ad essere già stato candidato nel passato (vinse per Braveheart nel 1996).
La battaglia Hacksaw Ridge è il suo quinto film da regista, dopo L’uomo senza volto, Braveheart, La passione di Cristo e Apocalypto.
Lo abbiamo incontrato per parlare degli Oscar: l’attore- regista è felice per la nascita del suo nono figlio, Lars Gerard, il primo con la giovane fidanzata, Rosalind Ross, 26 anni. Mentre Hacksaw Ridge continua ad avere riconoscimenti di critica e premi di associazioni cinematografiche, Gibson ha ricevuto domenica scorsa dalle mani di Sylvester Stallone il premio “regista dell’anno” durante la serata d’apertura della rassegna “Los Angeles- Italia” a Hollywood.
Signor Gibson, ancora riconoscimenti dopo tanti anni. Cosa prova?
«È molto gratificante. Ma non credo che nella mia vita cambierà niente. Ne ho vissute troppe».
È un anno particolare questo, con tanta diversità agli Oscar.
«È interessante, tutti i film sono indipendenti, compreso il mio, come tutti i film che faccio, fuori dallo studio system. Tecnicamente è più faticoso fare un film indipendente oggi, devi mettercela tutta. E sì, mi fa piacere vedere candidati di tutte le razze e culture».
Da dove ha tratto ispirazione per questo suo film?
«Quando ho letto la storia di Desmond mi sono venute le lacrime agli occhi. È un film di guerra, ma anche religioso e umanistico. Il protagonista è un obiettore di coscienza: un capovolgimento rispetto ai canoni dei film bellici. Si è mai visto un film di guerra con l’eroe che rifiuta di prendere un fucile in mano e sparare al nemico? È un film controcorrente, e io mi considero un regista controcorrente, o per lo meno al di fuori di ogni canone. Seguo la mia coscienza e basta».
Pensa che questa storia abbia un particolare significato oggi?
«Sì, certo, ma allo stesso tempo è una storia per ogni età e luogo. Da quando esiste il pianeta abbiamo sempre avuto conflitti e quest’uomo entra nel pieno del conflitto con un’agenda completamente diversa: non per ammazzare ma per cercare di mettere un po’ di pace. Mio Dio, se non ispira una storia come questa!».
Sappiamo che sta preparando un film con Vince Vaughn, “Dragged across concrete”, sulla brutalità della polizia. Un’altra storia che ha molto a che fare con quello cui stiamo assistendo in America negli ultimi tempi.
«Non so nemmeno se lo realizzerò, ma comunque non è quello il tema principale del film. È un film d’azione e pur essendoci un evento all’inizio della storia che ha a che fare con la brutalità della polizia non è questa la chiave giusta per leggerlo. Si tratta di una grande avventura e coinvolge due poliziotti, io e Vince, che vengono sospesi quando viene diffuso un video che filma i loro comportamenti. Ma poi il film va in un’altra direzione».
E il seguito di “La Passione”?
«Sono anni che ci lavoro su, ma non ci siamo ancora. Ci vorranno un altro paio d’anni. E magari tornerò in Italia a girare».
Oggi gli Stati Uniti stanno vivendo un periodo di grandi “divisioni”, di conflitti sociali, di paura. Lei come si sente?
«Siamo in un periodo di mutamento, pieno di  tensione. Tutto è polarizzato. Credo che si sistemerà tutto ma certamente è un periodo incerto. In questo senso il mio film ha un buon messaggio: far vedere come ci si possa elevare al di sopra della guerra. Un po’ come noi che dobbiamo elevarci al di sopra della situazione politica».
Si sente ottimista?
«Si deve essere per forza ottimisti. Senta, ho capito che mi sta chiedendo di commentare l’attuale situazione politica, ma a me la politica non interessa».
Allora torniamo a parlare di lei. Del suo ritorno dopo 10 anni, delle candidature all’Oscar...
«Non lo sto vivendo come un ritorno. Tornare dietro la cinepresa è come ricominciare ad andare in bicicletta. Ma non è che in questi 10 anni me ne sia stato con le mani in mano. Sono sempre stato occupato a scrivere e sviluppare progetti, e ogni tanto anche a recitare in qualche film. E in questi anni ho lavorato su me stesso, ho fatto il papà. Sono progressi, no? Andiamo! Sono contento di essere tornato e mi sento fortunato».
Ha capito cos’è l’amore?
«Me lo chieda la settimana prossima...».
Di che si sente più fiero nella vita?
«Sono certamente fiero del mio lavoro. Credo di sapermela cavare abbastanza bene. E poi dei miei figli, sono fiero di tutti loro, stanno venendo fuori delle belle persone. E spero che lo diventi anche questo appena arrivato».
Due dei suoi figli hanno lavorato in “Hacksaw Ridge”.
«Milo ha fatto un ottimo lavoro. Lo si vede ogni tanto, non aveva nemmeno una battuta, si è divertito molto, ha fatto un’esperienza. Sono fiero di lui. L’altro mio figlio era uno dei cameraman, e ha lavorato molto bene, mi ha sorpreso».
Ci sono cose che vorrà fare diversamente come padre?
«Certo. La mia figlia più grande ha 36 anni ed è una gran bella persona. Ma guardando indietro ti rendi conto che non esistono manuali su come essere un genitore, fai un sacco di sbagli. Man mano che sono venuti altri figli penso di aver fatto sempre meno errori. Certo, a volte ne faccio di diversi, magari l’opposto di quelli che avevo fatto prima! Ma credo diventi più facile con gli anni. È come il montaggio di un film, se qualcosa non funziona tagli un po’ qui, cambi un po’ lì. Di certo sono più paziente, ed è una buona cosa, per me che non ho mai avuto tanta pazienza».