La Stampa, 19 febbraio 2017
Tags : Donne Femministe
Morta Jane Roe, la sua battaglia rese legale l’aborto negli Usa
Aveva studiato in una scuola cattolica da bambina, ma non era andata bene, il papà antennista non si vedeva mai e lei finì presto al riformatorio. Baciava i ragazzi, e le ragazze se capitava, dopo una birra, la mamma raccontò «La pestavo nera di botte, andava a letto con chiunque», ci fu un primo matrimonio con un metalmeccanico, poi una bambina, Melissa, cresciuta dalla nonna e un altro bebè presto, dato in adozione. Nel frattempo sesso, alcol, droghe.
Il suo nome era Norma McCorvey, e quando rimase incinta per la terza volta aveva appena 23 anni. Le venne in mente di abortire, ma non si poteva allora, 1970, in Texas, come in quasi tutti gli Stati d’America. Un avvocato la persuase a fare causa, protetta dallo pseudonimo classico «Jane Roe», e la ebbe vinta solo nel 1973, quando il pupo aveva ormai due anni e mezzo. La storica sentenza della Corte Suprema, redatta di pugno dal giudice Harry Blackmun, assicurò a Norma-Jane, e a milioni di donne americane, un «diritto alla privacy» che consente di abortire entro il terzo mese di gravidanza.
Norma era entrata nella Storia, quella con la S maiuscola, eroina per il movimento femminista, mostro assassino per il movimento per la vita. La sua vita non cambiò punto, né mai cambierà fino alla morte, ieri, a 69 anni. Amori precari, la scelta dell’omosessualità solo per venire ancora abbandonata, la fama quando i giornalisti scoprono, che dietro Jane Roe si nascondono il viso paffuto e i ricci neri di Norma McCorvey. Le danno addosso in tanti, paladine dei diritti e antiabortisti militanti, tutti a caccia di un simbolo, nessuno attento a una donna vera e sfortunata. Aveva raccontato di essere stata stuprata alla terza gravidanza, poi si corresse, e parlò di «storia d’amore». A ogni intervista una nuova versione, una diversa Norma, una Jane mai vista prima, pestaggi, riscosse, amori, solitudine, finché non le daranno della «troll», bugiarda matricolata che insegue una mazzetta di dollari per lo scoop clamoroso, da sprecare subito, come aveva sprecato tanto nella vita.
Finché nel 1995, con l’indifferenza con cui da ragazza cambiava boyfriend, Norma abbandona il movimento abortista di cui era simbolo, abbraccia gli acerrimi nemici di Operation Rescue, si fa battezzare in una piscina come fosse il fiume Giordano di Giovanni Battista, e piange in pubblico i «milioni di bambini uccisi» in suo nome. Lei resta Norma e resta Jane, le barricate si invertono, chi la lapidava fino al giorno prima la incensa e sono ora le femministe a scagliare la prima pietra.
Non durerà neppure stavolta, e destra e sinistra, insieme, accuseranno la McCorvey di cercare soldi, di irridere i principi della vita e della libertà a loro tanto cari, pur di potere saldare in tempo i conti delle carte di credito a fine mese. Ora che se ne è andata i giornali, le tv e i siti la ricordano in apertura, le passioni del 1970 mai sopite, l’aborto ferita aperta, le donne in marcia contro il neo presidente Trump, che sul tema ha cambiato spesso idea ed è ora, (per ora), attestato con i conservatori. La Storia si riprende per sempre Jane Roe, la crociata del 1970, la sagacia giuridica nel dare il contesto di «privacy» all’aborto, le polemiche infinite. Chi davvero fosse la bambina cattolica finita a forza di incontri furtivi in riformatorio, la donna che lamentava «Io? Io ho appena la terza media, non capisco», la mamma di figli mai visti, eroina suo malgrado di due opposti movimenti che mai ha amato, non lo sapremo. Di Jane Roe parleranno i libri, Norma McCorvey lascia la vita da sconosciuta.