Il Sole 24 Ore, 17 febbraio 2017
Pressing sulla Nato, Putin non sta a guardare
«L’America rispetterà le sue responsabilità ma se le vostre nazioni non vogliono vederci moderare il nostro impegno verso l’Alleanza, ognuna delle vostre capitali ha bisogno di mostrare il suo sostegno alla nostra difesa comune». Difficile essere più chiari. James Mattis, ex generale dei Marines e ora nuovo segretario alla Difesa, è un atlantista convinto: non è come il suo presidente che meno di due anni fa, all’inizio delle primarie repubblicane, aveva un’idea vaga della Nato e dei suoi scopi.
Ma così vanno le cose ora. O come l’altro ieri Mattis ha detto ancora al vertice dei ministri della Difesa dell’Alleanza, questa è «la nuova realtà politica» negli Stati Uniti. Difficile prescindere, per noialtri europei. La richiesta americana, già avanzata da tutti i predecessori di Donald Trump, non è così drammatica: si chiede che tutti i 28 Paesi membri della Nato spendano almeno il 2% del loro Pil per la difesa. Al momento lo fanno solo in cinque, tutti gli altri no: l’Italia investe l’1,11%, la Francia l’1,78%, la Turchia l’1,56%, la Germania l’1,19% e il Canada lo 0,99%.
È difficile sostenere che la crisi economica rende impossibile trovare le risorse necessarie, perché fra i cinque virtuosi c’è la Grecia che col 2,4% è il Paese che investe di più in Difesa dopo gli Stati Uniti (3,6%). Gli altri tre sono Estonia, Polonia e Regno Unito.
Accogliere l’appello di Mattis in fondo significa dare una risposta ai contribuenti americani, soprattutto quelli che hanno votato Donald Trump. La sperequazione delle spese Nato è stata uno dei pilastri del neo-isolazionismo elettorale del nuovo presidente. Tuttavia, quando ci chiede correttamente di fare la nostra parte, Trump – come i suoi predecessori – non ricorda mai che dal dopo guerra le spese per la difesa e la sicurezza dell’Europa sono uno dei più grandi e meglio riusciti investimenti politici ed economici mai realizzati all’estero dagli Stati Uniti. Ininterrottamente da oltre 70 anni. Ieri, alla chiusura del vertice Nato, alcuni ministri della Difesa hanno iniziato una specie di corsa all’acquisto, promettendo agli Stati Uniti di comprare nuovi aerei e nuovi sommergibili.
Ma c’è un’altra obiezione al tetto del 2%, non solo di natura economica. L’Europa è attraversata da una faglia comune a tutti i Paesi del continente, soprattutto a quelli occidentali: il populismo che cresce. Accade anche a Est ma laggiù, per esempio la Polonia, sono troppo vicini alla Russia perché anche i loro populisti non pensino di spendere risorse per a difesa.
Il migliore alleato dei partiti e dei movimenti del populismo europeo – quasi il loro mentore – è la Russia. «Ci provocano costantemente per spingerci al confronto», diceva ieri della Nato Vladimir Putin, come per dare la linea. Secondo il ministro della Difesa estone la realtà è diversa: da quando Trump ha vinto le elezioni, dice, è la Russia a essere diventata più aggressiva. Tra l’altro, violando gli accordi sulle armi nucleari intermedie del 1987, il Cremlino ha appena dispiegato un nuovo sistema di missili Cruise: dalla fase sperimentale, dunque, sono passati all’operatività.
Barack Obama credeva di aver dissuaso Putin: invece i missili sono stati dispiegati nei giorni in cui il Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn ha dato le dimissioni per i suoi contatti troppo ravvicinati con i russi. La coincidenza temporale sarà del tutto casuale. Tuttavia, come diceva un navigato politico italiano, a pensar male si commette peccato ma spesso non si sbaglia.