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 2017  febbraio 16 Giovedì calendario

Affaire Putin, Trump nei guai. E il presidente con Netanyahu congela l’ipotesi dei due Stati

NEW YORK. «Qualcuno sta governando?». La domanda feroce, del senatore repubblicano John Mc-Cain, riassume l’impressione che dà l’America di Donald Trump. Dimissioni, faide, sospetti infamanti, regolamenti di conti fra il presidente e la sua intelligence, una politica estera che sbanda paurosamente. La Putin-connection si allarga ben oltre l’agnello sacrificale Michael Flynn (dimissionato), i contatti pericolosi fra l’entourage di Trump e lo spionaggio russo sono al centro di rivelazioni- shock. Il summit con Benjamin Netanyahu viene parzialmente oscurato, anche se è l’occasione di un ennesimo strappo alla tradizione della diplomazia americana: «Israele e Palestina, uno Stato o due Stati? Per me è la stessa cosa», dice Trump. Nel caos trumpiano ci sta pure l’annuncio clamoroso della Cnn: il Pentagono potrebbe proporre l’invio di truppe terrestri in Siria, un’ipotesi finora esclusa tassativamente.
Il presidente americano è costretto a dedicare buona parte della conferenza stampa congiunta col premier israeliano alla tempesta di scandali che infuria su Washington. Trump rifiuta di dare la parola ai giornalisti delle testate “nemiche”; passa al contrattacco definendo «atti criminali» le fughe di notizie che hanno portato a cacciare il generale Flynn dalla guida del National Security Council (l’organo che definisce la strategia del presidente in politica estera, difesa, anti-terrorismo). Punta il dito esplicitamente contro il più importante dei servizi d’intelligence, la National Security Agency; e contro l’Fbi. Alle “sue” forze di sicurezza e d’intelligence riserva allusioni velenose: «C’è chi vuole nascondere la dura sconfitta dei democratici alle elezioni». Si lancia in un caloroso elogio del dimissionario Flynn: «Un uomo meraviglioso, trattato in modo molto ingiusto dai media». Eppure, 24 ore prima la Casa Bianca aveva annunciato il siluramento di Flynn così: «Si è rotto il rapporto di fiducia col presidente».
L’antefatto: Flynn ebbe contatti illeciti con l’ambasciatore russo a Washington, per negoziare la levata delle sanzioni, quando ancora l’Amministrazione Obama era in carica e sanzioni ne stava infliggendo di nuove; interrogato in merito dal vicepresidente Mike Pence e dall’Fbi, il generale mentì. Ci sono varie ipotesi di reato a suo carico, le dimissioni non estinguono responsabilità penali, un’inchiesta parlamentare appare inevitabile. Ma dal caso Flynn si è passati a un livello superiore. Anzitutto perché ormai assodato – lo ammette il portavoce della Casa Bianca – che Trump conosceva da molte settimane i contatti illeciti e clandestini del suo massimo consigliere per la sicurezza nazionale con l’ambasciatore russo. Inoltre il New York Times, seguito dalla Cnn, hanno avuto da fonti della magistratura e dell’intelligence notizie ancora più gravi: per un anno intero ci furono contatti fra alcuni collaboratori di Trump e i capi dei servizi segreti russi, durante la campagna elettorale. Rivincita (tardiva) di Hillary Clinton che affida al suo ex-portavoce Brian Fallon questo commento amaro: «Quando lanciavamo l’allarme sulla collusione Trump-Putin, ci prendevano in giro».
Nella cacofonia di una politica estera che appare “non governata”, Trump forse vuole rifarsi una verginità sulla Putin-connection e di colpo accusa il suo predecessore di essere stato lui sì, putiniano? «Obama troppo arrendevole con la Russia», è uno dei tweet presidenziali di giornata. Però il suo segretario alla Difesa, generale James Mattis, a Bruxelles rinnova la velata minaccia all’Europa di lasciarla al suo destino di fronte alla Russia, se non aumenta la spesa militare. «Gli americani – dice Mattis ai partner europei della Nato – non possono preoccuparsi della sicurezza dei vostri figli più di quanto lo facciate voi. Hanno perso la pazienza. Se non volete che l’America riduca il suo impegno per l’alleanza, ciascuna delle vostre capitali deve mostrare un sostegno alla difesa comune». Il test cruciale è raggiungere il 2 per cento del Pil dedicato alla difesa, obiettivo dal quale molti paesi europei (Italia inclusa) sono lontani.
Ancora un generale è destinato a sostituire Flynn, il vice-ammiraglio Robert Harward. Ex membro dei commando speciali Seal, ex responsabile anti-terrorismo di George W. Bush, con esperienze in Italia, Harward è attualmente top manager della Lockheed Martin, responsabile per la vendita di armi in Medio Oriente. Un altro lobbista alla Casa Bianca.
Il vertice con Netanyahu è spettacolare. Trump butta a mare il principio di due Stati, ignorando che è condizione irrinunciabile per i palestinesi. Affronta la geopolitica seguendo il suo best- seller “The Art of the Deal”, il manuale d’istruzioni per diventare imprenditori di successo, e quindi lascia a Netanyahu la scelta, «questo o quello per me pari sono», a seconda delle tattiche negoziali che possono sfociare in un «buon accordo». Sul trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, altro tema esplosivo per l’intero mondo arabo: «Mi piacerebbe, ci stiamo pensando, vedremo». L’accordo sul nucleare con l’Iran firmato da Obama «è uno dei peggiori», ma non è chiaro con cosa lo sostituirà lui. Un nuovo Deal: che vuol dire accordo, affare, contratto, a seconda delle circostanze.