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 2017  febbraio 16 Giovedì calendario

«La magistratura mi ha rovinato ma fu giusto punire i colpevoli». Parla Primo Greganti

È quantomeno un uomo coerente; con quali ideali, interessi, passioni, giudicate voi. Finito nel tritacarne di Mani Pulite nel ’93, arrestato ancora tre anni fa per le presunte tangenti all’Expo milanese, Primo Greganti, classe ’44, «Il compagno G», il «comunista tutto d’un pezzo che non si piega» come lo tramanda l’anedottica un tanto al chilo del circo mediatico, lo stesso che gli attribuisce 6 fratelli, da Primo a Settimo passando per Secondo, Terzo e così via, quando di fratelli ne ha cinque e gli ultimi tre si chiamano più banalmente Alberta, Giancarlo e Gianfranco, attende e pretende di scontare i tre anni che ha patteggiato per la vicenda milanese. La stessa pena concordata – e scontata – un quarto di secolo fa per finanziamento illecito ai partiti: «Nessuna corruzione e nessuna tangente: ho pagato l’aver venduto la sede degli Editori Riuniti denunciando, come allora facevano tutti, pure i giudici, il valore catastale e non quello di mercato. Così come per l’Expo ho patteggiato 3 anni per turbativa d’asta, quando non ho mai partecipato a un’asta».
Uno così, direte, avrà sicuramente il dente avvelenato con la madre di tutte le inchieste sul malaffare politico. E invece no.
Come mai, Greganti?
«Perché Mani Pulite è stata una cosa positiva. Difendo lo Stato di diritto: chi è colpevole va punito. Naturalmente vanno definiti bene i reati e corretti i mali della giustizia».
Ad esempio quali?
«Il  protagonismo di certi magistrati alla Di Pietro: la ricerca ossessiva d. i “capri espiatori” non risolve i problemi e la delegittimazione dello Stato continua. La punizione che rimette a posto le cose da sola non basta. L’errore è stato quello di non aver tratto ciò che c’era di positivo nell’esperienza partita dalla Procura milanese»
Lei con chi sta: con Colombo o con Davigo?
«Con Colombo che dice un po’ quello che dico io e cioè che la moralizzazione del Paese non la si ottiene solo mettendo in galera la gente».
E Davigo?
«Alimentando lo scontro tra la magistratura e gli altri organi dello Stato contribuisce a delegittimare quest’ultimo creando le condizioni perché la corruzione aumenti».
Dunque, è innocente e vuole andare in galera: è masochista?
«No. È che non posso andare avanti per anni e anni con questo incubo. Non voglio apparire piagnucoloso, ma guardi che sono cose pesanti. Per me, la mia famiglia (Greganti si ammutolisce, la voce s’incrina, è l’unico momento in cui appare commosso, ndr). Ho ormai 73 anni e bene che vada mi darebbero ragione fra un decennio: chi mi dà i soldi? E, a differenza degli Anni ’90, quando volevo rifarmi una vita, non ho nemmeno più la salute»
Concediamole che sia stato più vittima che colpevole: aveva percezione che qualcosa non andasse in quegli anni, o no?
«Certo. Tutti sapevano quello che accadeva. Ce l’hanno raccontato i vari Citaristi e Balsamo. C’era un partito, ad esempio, che aveva bisogno di 80 miliardi di lire all’anno per stare in piedi».
Anche il Pci, dov’è cresciuto, doveva stare in piedi: come faceva?
«Con sottoscrizioni immense, le Feste dell’Unità, la partecipazione della sua gente: “Una sezione per ogni chiesa”, diceva Togliatti».
Quindi era fuori dal sistema smascherato da Mani Pulite?
«Sì. Ricorda la questione morale di Berlinguer? Certo, ci sono stati alcuni episodi penalmente rilevanti, ma sono state eccezioni».
Ma il sistema delle cooperative? E lei accusato di essere l’uomo dal quale passare per ottenere il beneplacito del Pci in appalti e affari?
«Ho sempre sostento che le cooperative, occupando il 25% della forza lavoro, dovessero ambire al 25% degli appalti...».
Ecco, gli appalti...
«Erano gli altri a truccarli».
Lei è stato sospeso dal Pd: che pensa di ciò che sta accadendo?
«I dirigenti abbiano consapevolezza dello strumento che hanno i mano, un’opportunità che la storia non offrirà più».