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 2017  febbraio 16 Giovedì calendario

I misteri del caso Kim: chi è la «vietnamita» arrestata in Malaysia?

PECHINO Ci sono molte voci, dichiarazioni e rivelazioni di servizi segreti e di governi lontani dalla scena del crimine, ma in sostanza più domande che risposte certe nell’assassinio di Kim Jong-nam, il fratellastro maggiore (45 anni) del leader nordcoreano Kim Jong-un (33 o 34, nemmeno la sua data di nascita è sicura). E c’è anche un arresto: si tratta di una donna con «documento di viaggio» o passaporto vietnamita, tale Doan Thi Wong, 28 anni. La sospetta è stata arrestata ieri mattina all’aeroporto di Kuala Lumpur in Malaysia, luogo del delitto, ma quarantotto ore dopo l’esecuzione. La polizia malese dice che è stata identificata in base alle registrazioni delle telecamere di sorveglianza: ma se la presunta vietnamita era coinvolta nell’agguato di lunedì doveva immaginare che tornare all’aeroporto sarebbe stato un rischio. Il documento d’identità potrebbe essere falso naturalmente, se sono coinvolti i servizi segreti.
Un fermo immagine spuntato sulla stampa di Kuala Lumpur mostra una giovane donna in attesa di un taxi all’uscita dell’aeroporto: tutto è molto confuso. La polizia malese e il governo di Seul concordano sul fatto che l’uomo ucciso lunedì all’aeroporto era effettivamente il fratellastro di Kim; che viaggiava sotto falso nome; che era diretto a Macao dove vive una delle due mogli (l’altra è a Pechino); che prima di crollare a terra aveva chiesto aiuto dicendo di essere stato attaccato alle spalle da due «asiatiche» che gli avevano messo uno straccio in testa. Altre versioni: le assassine gli avrebbero iniettato veleno con una siringa, o spruzzato in faccia uno spray letale, o ancora il panno era imbevuto di una sostanza chimica. Bisogna aspettare l’autopsia. L’attacco al veleno è una delle «procedure» usate dagli agenti nordcoreani. All’ospedale dov’è stato portato il cadavere è arrivata un’auto dell’ambasciata nordcoreana: alla Reuters risulta che i funzionari di Pyongyang avrebbero cercato di bloccare l’esame autoptico.
Le indiscrezioni si inseguono: le due assassine, sospettate di essere state agenti dei servizi segreti nordcoreani, dopo l’attacco di lunedì sarebbero fuggite in taxi, afferma lo spionaggio di Seul. E alcuni media giapponesi dicono che le due killer sarebbero state trovate morte a Kuala Lumpur. Suicide? Vittime del veleno usato nell’omicidio? A loro volta eliminate? E come sarebbero state identificate? Non c’è risposta e quindi nemmeno certezza.
Il video diffuso a Kuala Lumpur mostra una giovane donna in gonna corta e maglietta chiara con la scritta LOL; trucco marcato, ma dal fermo immagine identificarla come nordcoreana è impossibile. La polizia parla di «caccia ad altri sospetti, tutti stranieri», ma sembra una dichiarazione di routine.
Pyongyang tace. Il regime è impegnato nella commemorazione di Kim Jong-il, padre di Kim Jong-nam e di Kim Jong-un, l’attuale leader. Kim padre decise di ripudiare il figlio maggiore nel 2001, quando quello si era fatto scoprire con un falso passaporto centroamericano in Giappone e aveva detto che era semplicemente diretto a Disneyland Tokyo: bizzarro.
L’identificazione di Kim Jong-nam è venuta dal governo di Seul ed è poi stata confermata dai malesiani. E i militari sudcoreani vorrebbero usare i potenti altoparlanti lungo il 38° parallelo per gridare ai nordcoreani dall’altra parte la notizia del delitto.
Come sempre accade per le questioni che riguardano il regime della Corea del Nord, informazione e disinformazione sono difficili da distinguere. I servizi segreti di Seul «rivelano» che Kim Jong-un aveva dato ordine di eliminare il fratellastro, che viveva in autoesilio tra Pechino e Macao, con due differenti mogli e molti eccessi, già cinque anni fa e che un tentativo era fallito nel 2012. Addirittura, Jong-nam avrebbe chiesto pietà con una lettera al fratello.
Per quale motivo Kim Jong-un avrebbe ordinato il delitto ora, oltre cinque anni dopo essere salito al potere? Dal 2001, estromesso dalla linea di successione, Kim Jong-nam aveva girovagato per l’Asia, stabilendosi a Macao con una moglie, due figli e una gran passione per i casinò; ma era conosciuto anche nel quartiere a luci rosse di Tokyo; e aveva una moglie e un figlio anche a Pechino. Si dice che Kim Jong-nam fosse controllato e protetto dai servizi segreti cinesi e tenuto di riserva nel caso si fosse reso necessario un cambio alla guida del regime a Pyongyang. I sudcoreani sostengono invece che l’omicidio sarebbe un’ulteriore prova della «paranoia» di Kim Jong-un. Ma non risulta che alcuno psichiatra abbia mai studiato da vicino la mente del Rispettato Maresciallo.