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 2017  febbraio 16 Giovedì calendario

Italia, fuga continua dagli stadi. Lo spread vola anche nel calcio

«Il calcio globale non è un fenomeno in crisi, ma in Italia gli stadi sono sempre più vuoti». È l’allarme lanciato dal X rapporto di Focus in Media, che ha stilato una serie di dati sul sistema calcio mondiale. 
All’Università Cattolica di Milano si è discusso della crescita costante e sempre più globale del pallone, che resta il più grande business per numero di consumatori e per il volume d’affari. Anche grazie ai nuovi investitori che si sono affacciati nel panorama calcistico europeo. Oramai si parla di geopolitica nel pallone, che da un lato porta soldi liquidi, dall’altro rischia di indebolire l’aspetto identitario delle società, con l’entrata in campo di soggetti estranei il cui unico scopo è il business. Nonostante ciò, i numeri dicono che il sistema calcio è in buona salute e continua a battere ogni record. Ma, nel caso italiano, è un processo non privo di contraddizioni. 
Nel nostro paese, infatti, il pallone resta lo spettacolo più popolare e seguito. E quello più praticato. Secondo dati Figc del 2016 il settore conta più di un milione di praticanti, di cui oltre 700.000 del settore giovanile-scolastico. Ogni anno si disputano più di 600.000 partite, su quasi 20.000 campi da gioco. 
Ma se è vero che aumentano i fatturati del calcio professionistico, è anche vero che il volume d’affari cresce meno rispetto agli altri grandi paesi e soprattutto aumentano le perdite nette annuali. Nella voce ricavi le squadre italiane dipendono per il 60% dai diritti televisivi, mentre nel resto d’Europa i ricavi sono più equi-distribuiti tra sponsor, entrate di ogni genere e, solo in parte, dai media. Una dipendenza pericolosa per il nostro calcio, perché qualora i grandi player televisivi come Mediaset e Sky decidessero di ridurre il loro impegno economico e lo riversassero su altri sport o altri generi tv, finirebbe nel baratro.
C’è una statistica che rispecchia a pieno le difficoltà delle piccole realtà del nostro calcio: è in aumento, infatti, il numero di squadre che non rispettano le normative del fair play finanziario, definito dall’Uefa in accordo con la Figc, e che finiscono per non iscriversi ai campionati o subiscono penalizzazioni. 
La ricerca Il calcio in fuorigioco?, però, ha focalizzato la sua attenzione sui motivi di questa disaffezione del pubblico italiano, che si registra nel calo degli spettatori. Il confronto con le altre realtà del vecchio continente è quasi imbarazzante. Nel girone d’andata i club di Germania e Inghilterra hanno tutti, chi più chi meno, fatto il pienone (si stima il 90% di riempimento degli stadi), mentre in Italia solo il 55% dei posti viene occupato. E nel girone di ritorno il bilancio è ancor più negativo: rispetto alla media di spettatori a partita di 21.457 dell’andata, la 23esima giornata, quella di Juve-Inter per intenderci, ha toccato il punto più basso con 19.362 spettatori di media.
L’indagine realizzata da Focus in Media ha cercato di scavare i motivi di questo andamento lento. E non è colpa dalle pay-tv, che negli ultimi anni hanno fatto riscontrare un -4% di calo nell’audience, se le persone si rifiutano di andare allo stadio. Forse questo calcio, oramai privo di eccezionalità (ogni giorno o quasi si gioca un match di campionato), ha un effetto di saturazione. Non è più un calcio sinonimo di ferialità, ma un calcio che ha perso il suo fascino e un po’ di credibilità (investito da scandali e inchieste, tra cui calciopoli o scommessopoli e via dicendo). O, più probabile, è un calcio giocato in stadi inadeguati dove non c’è qualità. Meglio rifletterci su.