la Repubblica, 14 febbraio 2017
L’amaca di Michele Serra
Il Pd ha una sola speranza: che il maggior numero possibile di italiani prenda atto che il suo compito è disperato. In politica, come nei tuffi, bisognerebbe introdurre il coefficiente di difficoltà: più grande è il rischio che il tuffatore si prende, più alto è il voto della giuria (a patto che il tuffo non faccia troppo schifo). Il coefficiente di difficoltà del Pd, come dei progressisti occidentali in genere – trasformare il contraccolpo della globalizzazione in nuova democrazia piuttosto che in nuovo fascismo – è apparentabile a un triplo salto mortale carpiato, con avvitamento multiplo e forse con piscina vuota.
Il coefficiente di difficoltà dei Trump, dei Salvini e dei Marinelepen è molto basso: si tratta di prendere atto che un sacco di gente è furibonda, affacciarsi alla finestra e gridare «sono furibondo anche io, dunque votatemi!». Poi aspettare che fiocchino gli applausi e i voti. Ci riuscirebbe quasi chiunque. Il dem, poveretto, non ha questa facoltà. Proveniente dall’internazionalismo proletario (e/o dall’ecumenismo cristiano) non sa come gestire il nazionalismo proletario. Deve affacciarsi alla finestra e farfugliare formule confuse. Fingere di sapere come se ne esce anche se non lo sa. Esiste un premio o un risarcimento per chi affronta l’impossibile?