la Repubblica, 9 febbraio 2017
L’amaca di Michele Serra
Il buon vecchio Spread: da quanto non ne sentivamo parlare? A un certo punto pareva che da lui dipendessero le sorti della Nazione. Apriva quasi ogni sera i telegiornali. Fu addirittura accusato di avere fatto fuori Berlusconi. Poi si era messo tranquillo e se ne parlava pochissimo. Ora è tornato, come il cowboy che ricompare nel saloon e tutti si girano e mormorano: «Ma quello non è Spread? Dov’era andato a finire?».
L’impressione – da profani, per carità – è che ci siano parametri economici che sono come certi artisti: sopravvalutati. Lo spread è un numero. Indica la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Le agenzie di rating(buone, quelle) lo tengono in grande considerazione per formulare le loro valutazioni, ma a loro volta, facendo le loro valutazioni, lo influenzano. Dunque lo spread non è, come dire, un valore oggettivo e inappellabile, ma come molte cose dell’economia è una convenzione che va interpretata. Se per esempio ogni volta che si rende pubblico lo spread italo-tedesco gli si affiancasse lo spread italo-maltese (se non esiste, lo si istituisca subito) ne ricaveremmo grande beneficio psicologico. Migliorerebbe l’autostima e produrremmo di più. Le agenzie di rating dovrebbero tenerne conto. Lo spread migliorerebbe.