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 2017  febbraio 09 Giovedì calendario

Maldestro, figlio di un boss: salvato dal pianoforte

Sanremo Una mamma coraggiosa e un pianoforte. E la musica che si trasforma in un mezzo di riscatto personale e di impegno. È la storia di Maldestro, all’anagrafe Antonio Prestieri, figlio del boss Tommaso. Qui è in gara fra i Giovani con «Canzone per Federica», brano interessante cui si aggiunge la sua interpretazione originale. «È dedicata a un’amica, una persona che riesce a dare il sorriso a tutto quello che le sta attorno. Racconta la forza di non arrendersi mai e di poter trovare la strada giusta anche nel passaggio dell’adolescenza fra giochi e colpi di testa». Maldestro non hai mai rischiato di prendere la strada sbagliata. «Mamma mi ha dato valori solidi. Mi faceva leggere, il primo libro fu Il piccolo principe. A 9 anni mi ha comprato un pianoforte».
Col tempo ha trovato la sua strada prima nel teatro sociale e ora nella musica. «Mi sento una persona normale, è dovere di ogni cittadino fare qualcosa per la propria terra. Ho mille difetti ma spero di essere un esempio per chi crede di non avere un futuro. La strada giusta si trova, non conta da dove vieni». Lui, nato a Scampia, non viene da una realtà di disagio – mamma ha divorziato dal padre criminale quando aveva 2 anni – ma la sua adolescenza non è stata facile. «A 12 anni ho capito di chi ero figlio. Ho dovuto affrontare mille pregiudizi: tutti pensavano che sarei diventato anch’io un delinquente. E non parlo dei compagni ma dei professori. Non mi portavano in gita per paura. Li ho odiati tutti, tranne Claudio Nasti. Insegnava educazione fisica, ha anche allenato il campione di judo Maddaloni: magari non conosceva l’algebra, ma mi ha insegnato la vita».
L’arte è presto diventata la sua vita. «Ho scritto opere teatrali non solo sul tema della camorra ma anche sulla prostituzione, i gay». Nella musica l’ispirazione sono Gaber, Fossati, gli chansonnier francesi e Cohen. E la sua generazione? «Si impegna troppo a dare la colpa ai vecchi e nessuno si rimbocca le maniche. Qualcuno nel ‘68 lo ha fatto, noi siamo una generazione dove l’esaltazione dell’individuo è diventata isolamento».