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 2017  febbraio 08 Mercoledì calendario

Il sogno fallito del libretto unico di circolazione

Sono passati quasi tre anni. Era l’aprile del 2014 quando un Matteo Renzi appena arrivato a Palazzo Chigi parlò di «accorpamento fra Aci e Motorizzazione civile». Quello che aveva in testa il governo era il «documento unico di circolazione». Una sola scartoffia al posto di due: il certificato di proprietà, rilasciato dall’Aci, e il libretto di circolazione di competenza della Motorizzazione. Il tutto doveva portare a un risparmio stimato dallo stesso governo in 39 euro per singola pratica. Bello no?
Dopo tre anni le scartoffie sono ancora due. Il documento unico resta solo un’ipotesi della riforma della Pubblica amministrazione. Ma è rimasta appesa al solito decreto attuativo che non arriva. E che a questo punto rischia di non arrivare mai, visto che il termine per presentarlo (già prorogato) scade a fine febbraio.
Nel frattempo i nodi restano. E a ricordarli è l’Antitrust, l’autorità garante della concorrenza, che nel suo bollettino scrive di «aver riscontrato inefficienze dovute alla tenuta di due banche dati distinte», «situazioni di conflitto di interesse in capo all’Aci» e anche, a proposito dell’imposta provinciale di trascrizione, una «distorsione della concorrenza nell’attività di riscossione a vantaggio di Aci».
Ma perché il documento unico non è mai arrivato? Non solo perché la politica vive di promesse e perché dalla rottamazione siamo tornati alla concertazione. Ma perché l’Aci ha giocato d’anticipo, lanciando il certificato di proprietà digitale, versione dematerializzata di una delle due vecchie scartoffie. Una mossa di autoriforma molto apprezzata dal governo. Ma che secondo l’Antitrust peggiora le cose perché ha «pregiudicato la cooperazione tra le due banche dati». E, come ricorda sempre l’Antitrust, la «presenza di due registri è una peculiarità tutta italiana che, per quanto è dato sapere, non trova riscontro in nessun altro Paese». Più che un documento unico, un Paese unico.