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 2017  febbraio 02 Giovedì calendario

I soldi di Buzzi a Odevaine e la corruzione senza «colore»

Il «facilitatore» che intascava mazzette per agevolare le cooperative negli appalti non gradisce le definizioni brutali. Il pubblico ministero gli chiede se i 5.000 euro mensili elargiti da Salvatore Buzzi fossero tangenti, e lui minimizza: «No, pagamenti di consulenze». Al processo di «Mafia Capitale» l’ex manager comunale Luca Odevaine è il primo imputato a rispondere alle domande dell’accusa. Ha ammesso le proprie responsabilità, patteggiato una pena di 2 anni e 8 mesi e restituito 500.000 euro, tuttavia fatica a definirsi un corrotto: «Io favorivo i rapporti con la Pubblica amministrazione», spiega nel tentativo di giustificare i soldi presi sottobanco dal principale gestore delle attività economiche della presunta associazione mafiosa. Oltre alla busta paga di Buzzi, Odevaine riceveva quella de «La Cascina», la holding legata a Comunione e liberazione: 10.000 euro al mese. Stavolta non ce la fa a contrastare il pm che la definisce tangente: «Ma ho percepito meno di quanto concordato». Il magistrato parla di «accordo corruttivo», e Odevaine conferma di averlo siglato con i vertici del gruppo. Per loro ha «confezionato un bando su misura» che è valso un appalto milionario al Centro di accoglienza rifugiati a Mineo, in Sicilia. È la descrizione di un sistema che ha garantito alle coop «rosse» di Buzzi di continuare a lavorare anche quando al Comune di Roma arrivarono i «neri» al seguito del sindaco Alemanno, e nel frattempo assicurava affari e guadagni alle imprese «bianche» di ispirazione cattolica. I colori contavano poco, e tutto si fondava sulle solide relazioni intrecciate dall’uomo che entrò nel governo comunale con Veltroni e approdò fino al Viminale, grazie alla collaborazione sull’emergenza profughi. La presunta mafia non c’entra (Odevaine risponde di altri reati), ma per l’accusa il potere di condizionamento esercitato sulla Pubblica amministrazione da Buzzi – e dietro di lui da Carminati – passava anche dalle «facilitazioni» assicurate dal funzionario corrotto. Un pezzo del puzzle complesso e variegato che il tribunale è chiamato a confermare o smentire.