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 2017  gennaio 23 Lunedì calendario

Quella classifica sulle grandi imprese che ci condanna

M a quanti danni fa e ha fatto all’Italia un approccio ideologico all’economia? Chi non ricorda il ritornello «piccolo è bello»? L’idea dei distretti che potevano competere con le grandi imprese internazionali grazie a strutture di rete? Una pura illusione. Il risultato è che nelle classifiche internazionali, siano quelle di «Forbes» o di «Fortune» non riusciamo a trovare aziende tricolori. In quella di Forbes, stando ai dati elaborati da Anna Giunta e Salvatore Rossi nel loro libro «Che sa fare l’Italia» (Laterza), tra le 2 mila società quotate analizzate ce ne sono solo 30 italiane, 53 sono tedesche, le francesi sono 61 e le spagnole 27. Sembrerebbero numeri comparabili. Ma in realtà sulle prime cento aziende al mondo, non compare alcuna impresa italiana. Ce ne sono invece di tedesche (7), francesi (5), spagnole (2) e anche olandesi e belghe. È vero che la dimensione delle piccole e medie aziende italiane è stata quella che ne ha permesso la grande adattabilità e flessibilità. Fenomeno che, nei casi migliori, ha permesso di reagire alla crisi e anzi utilizzarla per diventare ancora più competitive e aggressive sui mercati internazionali. Ma il salto dimensionale è quello che permette se non di essere a capo di una grande filiera di creazione del valore, perlomeno di essere inserita in una di esse con un ruolo importante. L’esempio più evidente è quello di Brembo che è posizionata dove si crea più valore secondo la smiling curve, l’intuizione del fondatore della Acer, ricordata da Giunta e Rossi. La curva, che ricorda un sorriso, vede all’apice sinistro e destro le posizioni di maggior valore, dove cioè si fa ricerca, design e dall’altra parte dove c’è marketing e il brand. Mentre la manifattura è nel punto più basso. Di tutto ciò si dibatte molto poco. Alcune aziende si stanno muovendo, si veda l’ondata di merger & acquisition degli ultimi mesi. Da noi si preferisce, come spesso accade, dividersi su slogan dannosi come «piccolo è bello», o, come accaduto nelle scorso settimane, accanirsi contro leggi e leggine, vedi Jobs Act e voucher, perché declinabili immediatamente in chiave politica.