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 2017  gennaio 18 Mercoledì calendario

Il caffé rincara. Colpa della finanza

L’uscita dalla deflazione, i prezzi che calano anziché aumentare, comincerà inevitabilmente dai prodotti di largo consumo. Anzi, per alcuni è già cominciata. Il caffé, ad esempio. La tazzina sta salendo un po’ in tutta Italia, da un euro a un euro e 10 centesimi. In verità il ritocco era destinato a scattare già tre anni or sono, quando molte associazioni dei gestori avevano deciso di ritoccare i listini. Ma, complice la recessione, i prezzi erano rimasti fermi, con poche eccezioni. Ad esempio nei bar delle stazioni di servizio in autostrada. 
A spingere verso il ritocco immediato è il rincaro delle miscele di caffè più utilizzate per l’espresso che sui mercati di produzione stanno registrando un vero e proprio boom. È il caso della varietà “Robusta”, schizzata nel giro di pochi mesi ai massimi fatti segnare nel 2012, a 2.238 dollari la tonnellata. 
L’aumento è legato soprattutto a fattori climatici, anche se l’immancabile speculazione ha contribuito a infiammare le quotazioni sulla Borsa di Londra. La partenza dei rincari si deve, nell’ordine, alla siccità in Brasile e al passaggio di El Nino, lo scorso anno, in paesi come Vietnam e Indonesia. Rispetto al febbraio 2016 le quotazioni del caffè robusta sono cresciute del 70%. Pure l’“Arabica”, di sicuro la varietà più pregiata fra tutte, ha fatto segnare dei rincari, anche se più contenuti. Negli ultimi mesi le sue quotazioni internazionali sono cresciute del 30%, arrivando addirittura a 3.280 dollari la tonnellata.
L’andamento delle due varietà ha provocato una ridefinizione dei rapporti di costo fra l’una e l’altra. Mentre meno di un anno fa un chilo di robusta valeva la metà di uno di arabica, ora viene venduto a oltre i due terzi del prezzo di quest’ultimo. 
Il fenomeno non riguarda soltanto l’Italia. I torrefattori stanno alzando i prezzi su tutte le maggiori piazze mondiali di consumo. Dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Italia alla Turchia. Anche perché si prevede, per il terzo anno consecutivo, un deficit di offerta. Il prodotto immesso sul mercato non sarà sufficiente a soddisfare la domanda. E vale la pena di ricordare che stiamo parlando della seconda merce commercializzata a livello mondiale dopo il petrolio, con un volume di mercato pari a circa 30 miliardi di dollari l’anno. 
La produzione registrata con l’ultimo raccolto si fermerà a circa 151 milioni di sacchi da 60 chili l’uno. I consumi però, al netto di un eventuale aumento della domanda che nessuno si sente di escludere, pesano già 155 milioni di sacchi. In partenza mancano all’appello circa 240 milioni di chili. Tanti. 
Così l’attenzione di analisti e industriali del settore, si sposta sul prossimo raccolto. Se per l’arabica si prevede un’annata record con 93 milioni di sacchi prodotti, per la robusta tutti si aspettano un crollo del 6% nella produzione. Al ripetersi della siccità in Brasile, si registrano condizioni climatiche avverse pure in Vietnam che prevede di produrre l’11% in meno di caffè rispetto al 2916, mentre per l’Indonesia l’International coffee organization (Ico), prevede addirittura un crollo superiore al 18%. 
Così il rally che ha riportato il caffè al centro dell’attenzione mondiale sul mercato delle commodity alimentari, rischia di finire nella tazzina. I 10 centesimi di aumento che stanno arrivando nei listini di bar e caffetterie in Italia in queste settimane, potrebbero non bastare. 
Così, dopo alcuni anni di sostanziale immobilità, l’espresso potrebbe tornare in cima alla classifica di cibi e bevande con i prezzi più caldi. Anche perché la pressione al rialzo sulla materia prima legata alla speculazione è appena all’inizio. Dopo i cereali, il succo d’arancia, e le arachidi è la volta delle bacche rosse che una volta tostate danno origine al caffè.