Corriere della Sera, 18 gennaio 2017
Chi vuole stare al gioco di Balestrini
È innegabile che Nanni Balestrini (Milano, 1935) sia una sorta di giocoliere di suggestioni. Che derivano da? Vediamo. Sulla rivista «Fermenti», nel 2009, Niva Lorenzini ne ha parlato come di un abile «esperto di tecnica combinatoria», «irriducibile sabotatore di meccanismi codificati», «funambolo» della parola e sovvertitore di «schemi e strutture». Il montaggio, infatti, rappresenta la base delle sue elucubrazioni, dei suoi collage, sia che scriva sia che monti fotogrammi e parole, titoli di giornali o resoconti di cronaca, fotografie o tabelle aritmetiche. Il risultato? Indubbiamente, sul piano visivo, di notevole fascino.
Rivoluzionario nella vita, Balestrini lo è stato anche nella narrativa, nella poesia, nella saggistica e nell’arte. Anzi si può dire che «letteratura» (nel suo caso le virgolette sono d’obbligo) e collage ne sono la continuazione logica. Non si dimentichi che l’attività letteraria di Nanni comincia nel 1953, quando ha solo 18 anni. Poeta, redattore de «Il Verri» di Luciano Anceschi; lavora anche alla Bompiani e alla Feltrinelli, entra a far parte del Gruppo 63; con Umberto Eco è coautore di Opera aperta; con Toni Negri e Oreste Scalzone è cofondatore di Potere operaio.
Detto questo, si veda la mostra in corso (sino al 10 febbraio) alla Fondazione Mudima di Milano, a cura di Manuela Gandini: duecento lavori inediti, anni Settanta e Ottanta, testimonianza dei cosiddetti «anni di piombo» (contestazioni, rivolte, terrorismo). E repressioni: nel 1979 alcuni intellettuali, fra cui Balestrini – che nel 1971, ha pubblicato da Feltrinelli il romanzo Vogliamo tutto – considerati presunti capi di organizzazioni sovversive o, comunque, ideologi di quei gruppi, emigrano in Francia per evitare l’arresto.
Vogliamo tutto narra, in prima persona, la storia di un operaio della Fiat che viene dal Sud. Si dice – ed è vero – che Balestrini sia un romanziere e poeta che non crea, ma che si limita ad amalgamare materiali esistenti. Nel caso di Vogliamo tutto, Nanni si rifà alla registrazione del racconto di Alfonso, per fare poi dell’operaio «una voce collettiva», costruendo un palazzo di parole prese dalla realtà.
Da Parigi, Balestrini rientrerà in Italia nel 1984, una volta assolto dall’accusa di terrorismo. Nella rassegna alla Mudima – luogo di rinascita della rivista «Alfabeta» di cui, nel 1979, Balestrini è stato il fondatore (con un comitato formato da Maria Corti, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Mario Spinella e Paolo Volponi) —, le foto di Enrico Berlinguer e Marlon Brando, Leonid Brežnev ed Elvis Presley fanno da corollario ai titoli in rosso e nero (in italiano e in francese) appiccicati su grandi pagine di quotidiani, agli slogan di Autonomia operaia («Non riuscirete a chiudere il Movimento. Smettiamola di mostrare la nostra forza e cominciamo a usarla»).
Accompagna l’esposizione il secondo volume delle poesie complete di Nanni Balestrini, Le avventure della signorina Richmond (Derive Approdi, pp. 512, e 25), un’anatra «vitalissima e seducente, crudele e metamorfica donna-uccello da mettere, all’occorrenza, in pentola con gli aromi». Anche in questo caso, i versi di Balestrini riassumono, intersecano, amalgamano vari testi presi qua e là, cui egli ridà – con «finezza da seduttore» e «prudenza da stratega» per citare il saggio introduttivo di Cecilia Bello Minciacchi – un soffio di nuova vita.
Da qui una sorta di avventura, resa in maniera «scopertamente ludica» e con un ritmo che richiama la classica ballata, anche se qui da ballare c’è poco o niente.